Ad aprire il 28esimo Festival del cinema africano a Milano è il film del regista ciadiano Mahamat Saleh Haroun, che racconta da molto vicino la vita di un richiedente asilo in Francia
Sessanta film, mostre fotografiche, incontri e spazi riservati per le scuole. La 28esima edizione del Festival del Cinema Africano, d’Asia e d’America Latina www.festivalcinemaafricano.org/ si presenta anche quest’anno con un calendario ricco di eventi ospitati in vari luoghi della città di Milano, nella settimana che va dal 18 al 25 marzo.
Ad aprire la serata inaugurale di domenica 18 marzo è stato scelto l’ultimo film del regista ciadiano Mahamat Saleh Haroun, Une saison en France, che verrà presentato in anteprima italiana all’Auditorium San Fedele alle 20.30. Girato interamente in Francia, è un film che parla di migranti in modo totalmente diverso. Non si racconta la fuga dall’Africa o le difficoltà per entrare in Europa. Fin dalle prime scene, incontriamo il protagonista, Abbas, in un bell’appartamento a Parigi – dove è ospite temporaneo di francesi generosi – in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato, con i suoi due bambini.
L’uomo proviene dalla Repubblica Centroafricana, ex colonia francese con un’economia al tracollo, malgrado sia ricca di risorse come l’uranio. Da alcuni anni il Paese è dilaniato da una guerra civile di cui i media raramente parlano. Durante la fuga, l’amata moglie Madeleine è stata uccisa dai miliziani e lui non riesce a superare il lutto. La rivede nei suoi sogni e si sveglia in preda al panico. È un uomo traumatizzato, ma cerca di resistere per amore dei suoi due bambini. Anche per loro, la perdita della mamma è una ferita aperta. Si sono facilmente inseriti a scuola, anche perché nel loro Paese d’origine si parla francese. Abbas era un professore e il regista ce lo mostra più volte con i libri in mano o intento a trasmettere ai bambini l’amore per la lettura. Una bella immagine contro gli stereotipi sui migranti: chi abbandona la propria terra per una guerra ha perso tutto, ma non la propria identità e cultura.
Trovare un lavoro da richiedente asilo, tuttavia, non è affatto facile e l’uomo accetta di fare lo scaricatore di cassette in un mercato ortofrutticolo della capitale francese. Qui conosce Carole, una fiorista di origine polacca, che in passato ha vissuto sulla propria pelle i problemi dei migranti irregolari e gli offre la sua amicizia. È un incontro di due solitudini, che sfocia in un amore, intenso ma difficile. Insieme alla donna, che accetta con affetto anche i suoi bambini, Abbas sembra risalire la china e acquisire una parvenza di normalità.
La situazione dei migranti, tuttavia, resta sempre appesa a un filo. L’amico Etienne, professore ed esule come Abbas, un giorno trova la sua squallida baracca incendiata da una gang razzista. La procedura per i permessi è lunga e angosciante, e nel frattempo il protagonista e i bambini sono costretti a lasciare la casa temporanea per una topaia della periferia… Il peggio deve ancora arrivare: quando la domanda d’asilo è respinta e si diventa clandestini a tutti gli effetti, i migranti finiscono per mettere a rischio anche i francesi che li aiutano. La legge punisce, infatti, chi nasconde un immigrato non in regola con cinque anni di prigione e una multa fino a 30 mila euro. La patria degli ideali di libertà, uguaglianza e fratellanza ha forse perso per strada il terzo punto del suo credo. L’orgoglio e la dignità non consentono ad Abbas di diventare un impiccio per Carole: sceglierà la fuga.
Il film, ottimamente interpretato dall’attore franco-camerunense Eriq Ebouaney e da Sandrine Bonnaire, ci racconta una quotidianità che può persino apparire banale. La festa di compleanno di Carole con i regali, la bambina che chiede al papà di cantarle una ninna nanna, un disegno dipinto con i pennarelli… Momenti di vita che a noi sembrano scontati diventano una riconquistata felicità per chi ha conosciuto il dolore della guerra e dello sradicamento. Seguendo passo dopo passo i protagonisti, si entra delicatamente nella loro sfera affettiva. È questo il pregio del racconto di Une saison en France: mostrarci gli immigrati non come diversi, ma come esseri umani uguali a noi e capaci di integrarsi con noi, se appena viene data loro l’opportunità di farlo.
Non è difficile identificarsi nella figura di Abbas: è un padre dolce e amorevole, un compagno attento, un amico onesto e solidale. Insomma, quella che definiremmo una brava persona. Alla fine del film, Haroun insinua un interrogativo: noi, al posto suo, cosa avremmo fatto? A voi la risposta.