Volontari dell’Associazione laici Pime, Chiara Goisis e Filippo Gatti sono arrivati da alcuni mesi in Guinea-Bissau. «Cerchiamo di testimoniare il Vangelo attraverso la vita di famiglia e il lavoro». Ecco il loro racconto
Un cielo stellato che sembra enorme, strade dissestate e piene di crateri, polvere rossa ovunque. Il profumo dei fiori di gelsomino che cadono vicino all’ingresso della nostra casetta, musica e balli per ogni occasione e le risate dei bambini che entrano nel giardino della missione per “prendere in prestito” la frutta. Questi sono piccoli “scatti” della nostra quotidianità in questa terra.
Iniziare una nuova vita qui è stato bello, anche se le prime fatiche non si sono fatte attendere: abbiamo dovuto “costruire” un luogo che potessimo chiamare casa, stiamo imparando una nuova lingua e ci accorgiamo in continuazione che entrare in contatto con una cultura diversa è affascinante, ma difficilissimo. La fatica più grande è accogliere questa diversità senza giudicare e senza fare confronti: non vi nascondiamo che i nostri occhi da europei vedono tanti, tantissimi problemi! Ma più entriamo in contatto con questa realtà, più cresce dentro di noi il desiderio che i nostri occhi e il nostro cuore non si abituino mai a quello che vediamo, per poterci sempre stupire dei doni che questa terra ci sta offrendo.
Qui a Catió noi siamo missionari laici, perciò abbiamo il compito di testimoniare il Vangelo tramite la nostra vita, che si declina nella quotidianità della famiglia e del lavoro. Quest’ultimo ci permette di entrare, in particolare, nel mondo dell’istruzione.
Sulla carta il nostro ruolo è quello di coordinatori e formatori del personale docente delle scuole in autogestione, seguite dalla missione e in particolare da padre Naresh. In pratica, il nostro lavoro non è ancora iniziato e non sappiamo ancora che forma assumerà. Questi primi mesi sono un tempo di osservazione, per conoscere meglio la realtà locale e cercare il modo giusto per entrarci. La scuola in Guinea-Bissau è una realtà complessa e avere la pretesa di averla già compresa e di saperla raccontare è certamente un’esagerazione. Vi lasciamo alcune riflessioni che hanno segnato questo periodo.
La primissima cosa che ha colpito la nostra attenzione è che l’istruzione non è la priorità di tutti. Come si può pensare alla scuola quando si ha fame? Eppure, tanti bambini e ragazzi camminano per chilometri pur di arrivare a scuola. Purtroppo, però, spesso si ritrovano in classi sovraffollate, con docenti che hanno poca voglia di insegnare e altri che ne hanno tanta, ma pochi mezzi. In questi giorni siamo tornati anche noi a fare gli studenti e i nostri professori di lingua sono una testimonianza di semplicità e missionarietà. Semplicità perché gli sono sufficienti un gesso e una lavagna per trasmettere il loro impegno e la loro passione.
Missionarietà perché hanno preso talmente a cuore il loro impegno di insegnarci il criolo, che non volevano ricevere nulla in cambio del tempo che ci hanno dedicato. Un gesto di carità per nulla scontato qui in Guinea- Bissau, che ha profondamente toccato sia noi che padre Naresh.
Ogni giorno ci troviamo di fronte a una realtà complessa e mentre siamo alla ricerca di strumenti e di un aiuto per decifrarla, padre Maurizio ci regala la sfida più grande: ci invita a pensare a una scuola che sia a “misura loro”. Queste parole ci interrogano molto. Di primo acchito ci è sembrato quasi che dovessimo ridimensionare le nostre aspettative sulla scuola, ma dopo lunghe discussioni e confronti riusciamo a leggerne il senso: la scuola dev’essere su misura! Come per il proprio matrimonio, non si manda un amico dal sarto, allo stesso modo questa scuola non può essere pensata a tavolino solo da Chiara, Filippo e padre Naresh. Per essere su misura deve essere costruita con l’aiuto di tutti: docenti, studenti e tutta la comunità, in modo che calzi a pennello.