È uno dei drammatici “effetti collaterali” della diffusione del coronavirus in Africa: le morti per malaria nel 2020 potrebbero raddoppiare, arrivando a quasi 800 mila
«È difficile prepararsi ad affrontare questo periodo critico. E l’epidemia di Covid-19 sta rendendo questo compito ancora più difficile». È preoccupato Hassan Maïyaki, capo-missione di Medici senza Frontiere (Msf) in Burkina Faso, un Paese segnato da «instabilità e insicurezza, con un sistema sanitario indebolito e difficoltà nel raggiungere le persone, per le organizzazioni umanitarie, compresa MSF». Ci mancava solo l’emergenza Coronavirus per rendere ancora più difficoltosa la lotta contro la malaria, i cui picchi stagionali sono attesi per i prossimi mesi. «L’anno scorso – continua Maïyaki – la malaria è stata la principale patologia riscontrata tra i nostri pazienti. Ora temiamo il peggio con l’arrivo del picco tra maggio e ottobre, dato che molte strutture mediche hanno chiuso e che le persone sono bloccate in aree difficilmente raggiungibili con un accesso estremamente limitato all’assistenza sanitaria».
Indietro di vent’anni
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), in Africa si concentra circa il 93 per cento dei 230 milioni di persone che contraggono la malaria nel mondo e il 94 per cento dei decessi totali. Si tratta, nella maggioranza dei casi, di neonati e bambini al di sotto dei 5 anni. I più piccoli sono il 67 per cento delle vittime. Ma sono particolarmente a rischio anche donne incinte e malati di Aids e Tbc. Quest’anno, in Africa, si potrebbe arrivare a circa 770 mila morti, esattamente come vent’anni fa. Il Coronavirus rischia di cancellare tutti gli sforzi fatti, in questi due decenni, per prevenire il contagio e ridurre la mortalità. Si stima, infatti, che dal Duemila, si è riusciti a prevenire un miliardo di contagi, grazie soprattutto alla distribuzione di zanzariere impregnate di insetticida, e a evitare un milione di morti, grazie alle cure rese più accessibili. Ora, le misure introdotto per contrastare la diffusione del Covid-19 rendono particolarmente ardua, se non impossibile, l’una e l’altra cosa.
«Sospendere le attività di distribuzione di zanzariere e spray a media e lunga durata – ammonisce l’Oms – lascerà un gran numero di persone vulnerabili alla malattia, tra cui molti bambini piccoli e donne incinte. Se c’è bisogno urgente di affrontare in modo aggressivo il nuovo Coronavirus, occorre al contempo che altre malattie killer, come la malaria, non vengano trascurate».
Clorochina, anti-malaria o anti-Covid-19?
Quanto ai farmaci, tradizionali anti-malarici come la clorochina e l’idrossiclorochina sono stati utilizzati sperimentalmente anche per il Covid-19. L’Università di Oxford ha avviato il più grande trial mai organizzato finora, con 40 mila partecipanti in Asia, Europa e Africa. Tuttavia, i risultati non sono ancora disponibili, ma è certo che l’utilizzo scriteriato può avere effetti tossici o addirittura mortali. Come è già successo in Nigeria, dove almeno tre persone sono morte a causa di un’overdose di clorochina assunta per combattere il Coronavirus. L’Oms ha già sollecitato i Paesi che usano questi farmaci per curare la malaria a farne le dovute scorte, visto che potrebbero diventare irreperibili nel caso di una forte richiesta a livello mondiale per il Covid-19. Ad esempio, gli Stati Uniti si sono già accaparrati 30 milioni di dosi nella loro scorta strategica nazionale. Mentre molti Paesi africani, per cui la malaria resta una delle principali causa dei morte, potrebbero rimanerne senza.
Diritti e divieti
Ad aggravare per certi versi la situazione, si sono aggiunte anche le misure di lockdown, che non permettono alla gente di muoversi liberamente. «Il divieto dei trasporti e il coprifuoco notturno stanno rendendo molto difficili gli spostamenti, anche per esigenze sanitarie – racconta Dominique Corti, delal Fondazione Corti che sostiene l’ospedale cattolico St. Mary’s Lacor di Gulu, nel Nord dell’Uganda -. Il risultato si vede già: in passato erano 500, anche 600 i pazienti che si rivolgevano agli ambulatori del Lacor. Ora sono 30, massimo 40». L’ospedale è abituato ad affrontare grandi e severe crisi. È sopravvissuto al lungo conflitto civile che per quasi due decenni ha devasto le regioni settentrionali; e ha pagato un prezzo altissimo durante l’epidemia di Ebola del 2000. E ora si trova a dover affrontare anche la possibile pandemia di Coronavirus che non è ancora arrivata sin qui, ma che sta già provocando molta apprensione e sofferenza. «La preoccupazione più grande è che le persone muoiano perché non possono arrivare all’ospedale. Di malaria, soprattutto, ma anche di anemia, diarrea o di polmoniti che non hanno nulla a che fare con il nuovo virus. O di parto, se la futura mamma non riesce a raggiungere l’ospedale quando la gravidanza si complica».
Dominique Corti, che è anch’essa medico, come i suoi genitori, Lucille e Piero Corti che hanno fatto di quello di Gulu uno dei più importanti ospedali dell’Uganda, ricorda che «l’Uganda, con i suoi 1,6 milioni di casi e più di diecimila decessi l’anno è il sesto Paese al mondo per numero di morti di malaria. Quanti saranno ora che la stagione delle piogge si avvicina e gli ospedali sono così difficili da raggiungere?».
L’esperienza di Ebola in Africa Occidentale (Sierra Leone, Liberia e Guinea Conakry) è drammaticamente illuminante. Durante gli anni critici dell’epidemia (2014-2016), nei centri sanitari della Guinea Conakry sono stati registrati 74 mila casi di malaria in meno rispetto agli anni precedenti, perché i pazienti non vi si recavano e il numero dei trattamenti antimalarici è diminuito sensibilmente, secondo uno studio pubblicato dalla rivista medica britannica Lancet. Ma il numero dei morti è cresciuto. In particolare, sono stati segnalati oltre 7.000 decessi in più per malaria di bambini al di sotto dei 5 anni – il gruppo più vulnerabile, con i due terzi dei morti – nei tre Paesi più colpiti da Ebola.
Meno fondi, aspettando il vaccino
Purtroppo, secondo l’Oms gli sforzi finanziari per debellare una delle malattie più mortali al mondo e la più mortale in Africa si sono ridotti invece di aumentare: infatti si è scesi da 3,2 miliardi di dollari nel 2017 a 2,7 miliardi l’anno successivo. Il direttore generale, l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, il cui fratello è morto proprio di malaria, ha affermato che è necessario «maggiore slancio», lamentando il calo dei finanziamenti.
Una speranza potrebbe venire dal vaccino che è stato introdotto con un progetto-pilota in Malawi, Kenya e Ghana, tra aprile e settembre del 2019, ma di cui si attendono ancora i risultati. Nel frattempo, tutti coloro che operano in ambito sanitario in Africa, si trovano di fronte a una sfida complessa: quella di contrastare il Coronavirus, ma anche quella di garantire le cure per tutte le altre patologie che normalmente affliggono la popolazione. A cominciare proprio dalla malaria che, con l’arrivo della stagione delle piogge, tornerà a essere una pericolosa minaccia per milioni di persone.