Si conclude oggi l’Assemblea sinodale per l’Africa, tappa continentale del percorso che porterà alla celebrazione del Sinodo sulla sinodalità il prossimo ottobre a Roma. Un’occasione di riflessione sul contributo specifico che la Chiesa africana può dare a quella universale, ma anche sulle grandi sfide che la interpellano: unità, lotta alla povertà, uguaglianza sociale e neocolonialismo
Unità, lotta alla povertà, uguaglianza sociale, neocolonialismo. Sono i temi principali discussi nel corso della tappa africana in vista del Sinodo sulla sinodalità che si terrà il prossimo ottobre a Roma. Riuniti ad Addis Abeba, in Etiopia, dal primo al 6 marzo, i 206 partecipanti – tra vescovi, preti, religiosi e religiose e molti laici – hanno discusso delle grandi sfide che interpellano oggi le Chiese e le società africane. A partire da una dimensione fondamentale: quella dell’ascolto. «In un tempo in cui abbiamo a disposizione molti media, la comunicazione è ai suoi livelli più bassi, perché non ci ascoltiamo gli uni gli altri»; ha rimarcato il cardinale Antoine Kambanda arcivescovo di Kigali (Ruanda): «Il dono più prezioso che Dio ha fatto all’umanità è la parola e la parola realizza il suo scopo e ha senso quando viene ascoltata. Abbiamo bisogno di ascoltare questa parola di Dio».
Il tema dell’ascolto era stato posto anche a livello nazionale da molti laici, e soprattutto giovani e donne, che non si sentono adeguatamente rappresentati nella Chiesa e che faticano – pure in Africa – ad ottenere ruoli decisionali e di responsabilità. Riferendosi all’immagine e all’invito ad «allargare lo spazio della tenda», il gesuita padre Agbonkhianmeghe Orobator ha ricordato come essa possa essere accostata al tukul africano, l’abitazione tradizionale costituita da pareti e tetto e sorretta da un pilastro centrale: «La Chiesa-casa non ha porte che si chiudono, ma un perimetro che si allarga continuamente. È una famiglia dove ciascuno può trovare un posto».
Ma una casa e una famiglia solide devono fondarsi anche su solidi valori, a cominciare dall’unità, nel rispetto delle diverse culture e tradizioni. Non solo però: molti gruppi di lavoro hanno sottolineato la necessità che i padri sinodali affrontino anche alcune grandi sfide che interpellano i Paesi africani (e non solo), in particolare la lotta alla povertà, l’uguaglianza sociale e il tema del neocolonialismo.
Altra questione cruciale è quella della formazione, a tutti i livelli: la Chiesa-famiglia di Dio – immagine emersa dal primo Sinodo per l’Africa del 1994 e tuttora centrale nella visione ecclesiale africana – è chiamata a evangelizzare attraverso la formazione, «garantendo ruoli e responsabilità ben definiti che promuovono i valori africani e migliorino il governo strutturale della Chiesa conferendo più potere ai laici attraverso la formazione», hanno sottolineato i partecipanti all’incontro di Addis Abeba.
«Questi giorni – ha concluso il presidente del Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam/Sceam), il cardinale Fridolin Ambongo, arcivescovo di Kinshasa – non sono stati solo un momento per parlare di sinodalità, ma un momento per vivere la sinodalità. Ci siamo sentiti veramente una famiglia, la famiglia di Dio in Africa e nelle Isole che cammina insieme, condividendo gioie e dolori del nostro tempo. Una Chiesa che si impegna ad andare avanti, approfondendo soprattutto il senso di essere Chiesa-famiglia, facendone un luogo di reciproco ascolto e di ascolto allo Spirito Santo, luogo di comunione, perdono e riconciliazione. Rinnovata dalla celebrazione di questa Assemblea sinodale, la Chiesa in Africa si impegna ad allargare la tenda dell’inclusione seguendo come criterio il principio evangelico della conversazione».
Sul contributo specifico e significativo che la Chiesa africana può portare alla Chiesa universale è intervenuto anche il cardinal Mario Grech, segretario generale del Sinodo: «Una teologia africana della sinodalità – ha osservato – potrebbe essere un contributo duraturo allo sviluppo di una Chiesa sinodale nel Terzo Millennio. Quando mi riferisco alla peculiare teologia africana, mi riferisco non solo al valido contributo che gli accademici possono offrire, ma anche alla teologia elaborata dall’intero popolo di Dio. Se dobbiamo fare teologia dobbiamo ascoltare il popolo di Dio del continente africano».