Negli ultimi mesi l’Algeria ha intensificato i rimpatri di immigrati regolari provenienti dall’Africa subsahariana. Ma il contesto di queste operazioni è una campagna xenofoba condotta da alcune autorità e dai media.
Il Sahara non è mai stata la destinazione finale dell’immigrazione proveniente da sud, ma negli ultimi anni le città del deserto algerino sono diventati snodi importanti della rotta che conduce verso l’Europa, dai quali transitano molti migranti provenienti dall’Africa subsahariana. Un flusso che ha innescato tensioni razziali fra i nordafricani di cultura araba e i neri, con numerosi attacchi nei confronti di questi ultimi in tutta l’Algeria.
Mentre l’attenzione internazionale è concentrata sulla Libia, in questi giorni l’Algeria sta intensificando i rimpatri di immigrati irregolari dal suo territorio. Sono già migliaia, del resto, i subsahariani che vengono rimpatriati o semplicemente deportati in Niger ogni anno. Da quando, nel 2015, il Niger ha autorizzato il governo algerino ad attraversare il proprio territorio per eseguire i rimpatri, emergono sempre più di frequente casi di trattamento razzista da parte delle forze di sicurezza durante la deportazione, compresi furti e violenza. In aggiunta a questo, e alle dure condizioni di vita degli immigrati nel Paese, si sono moltiplicate le dichiarazioni xenofobe nella stampa o nei media, anche da parte di rappresentanti delle istituzioni.
In modo piuttosto paradossale, considerando la sua carica, il presidente della Commissione nazionale algerina per la promozione dei diritti umani, Farouk Ksentini, ha giustificato l’improvvisa espulsione di massa di immigrati neri dall’Africa subsahariana a fine del 2016 dicendo a un quotidiano nazionale che «la presenza di immigrati e rifugiati africani in molte località del Paese potrebbe causare problemi agli algerini, in particolar modo la diffusione dell’Aids e altre malattie sessualmente trasmissibili… Da qui la decisione delle autorità algerine di espellerli in modo da evitare una catastrofe».
«Questo rendere patologici i neri in quanto portatori di malattie che minacciano la vita degli algerini è basata su pregiudizi razziali e parte di una più larga struttura di razzismo nei confronti dei neri nel Sahara», scrive sul blog Africa is a country l’antropologo Ampson Hagan. E continua: «Seguendo questa retorica xenofoba diventa naturale associare i “neri” con le malattie, rendendo la decisione di permettere loro di restare in Algeria una questione di vita o di morte». «Trattati come subumani, i migranti neri non si possono ammalare, sono loro stessi “la malattia”». Questa retorica xenofoba è diffusa anche online, con alcuni utenti che dicono che i migranti «devono essere sterminati come topi» e che «violentano e diffondono l’Aids nelle città» usando sui social media l’hashtag #NoToAfricansInAlgeria.
Lo scorso luglio, durante un’intervista al canale televisivo Ennahar, Ahmed Ouyahia, ministro e direttore di gabinetto della Presidenza, ha dichiarato che i migranti che risiedono illegalmente in Algeria sono «l’origine del crimine, della droga, e delle malattie». Questa volta, il nuovo presidente della Commissione nazionale algerina per la promozione dei diritti umani Noureddine Benissad ha condannato le parole di Ouyahia affermando che un migrante «non è un delinquente o un criminale o un propagatore di malattie», dimostrando così un cambiamento di rotta rispetto al suo predecessore. Ma la “patologizzazione” dei migranti neri, come la chiama Hagan, non si è fermata e scava un solco sempre più profondo fra il Nord Africa e l’Africa subsahariana, cavalcando una retorica di un’area separata del continente “pulita e vergine” che ha bisogno di proteggere sé stessa da una “vile”, e “infettiva”, Africa nera.