Un pellegrinaggio ecumenico di pace è quello che vede protagonisti Papa Francesco insieme all’Arcivescovo di Canterbury e al Moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia. Che oggi a Juba hanno chiesto alle autorità un impegno concreto per la riconciliazione
«Vengo come pellegrino di riconciliazione, con il sogno di accompagnarvi nel vostro cammino di pace, un cammino tortuoso ma non più rimandabile». Così Papa Francesco si è rivolto poco fa alle autorità del Sud Sudan che ha incontrato al suo arrivo nella capitale Juba: «Non sono giunto qui da solo – ha precisato il Pontefice -, perché nella pace, come nella vita, si cammina insieme. Eccomi dunque a voi con due fratelli, l’Arcivescovo di Canterbury e il Moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia. Insieme, tendendovi la mano, ci presentiamo a voi e a questo popolo nel nome di Gesù Cristo, Principe della pace».
Dopo la tappa in Repubblica Democratica del Congo, segnata dalla calorosa accoglienza del popolo congolese, ma anche dai discorsi molto forti di Papa Francesco – che non ha fatto sconti a nessuno: politici, affaristi e sfruttatori, comunità internazionale e persino gli stessi presbiteri – il viaggio in Sud Sudan si configura innanzitutto come un pellegrinaggio ecumenico di pace che vedrà protagonisti anche l’anglicano Justin Welby e lo scozzese Iain Greenshilds, che portano vicinanza e solidarietà al popolo sud sudanese (al 60% cristiano), ancora afflitto da troppe violenze e divisioni dopo che, per lunghi anni, aveva vissuto l’orrore della guerra contro il nord. L’indipendenza, ottenuta nel 2011, non ha tuttavia portato pace e riconciliazione. Dal 2013, infatti, il Paese è segnato da un conflitto fratricida e da molte violenze interetniche che, insieme ai cambiamenti climntici, hanno provocato una crisi umanitaria gravissima. Attualmente, 7 degli 11 milioni di abitanti del Sud Sudan sono a rischio fame.
Papa Francesco si è rivolto dunque a «un intero popolo che, con grande dignità, piange per la violenza che soffre, per la perenne mancanza di sicurezza, per la povertà che lo colpisce e per i disastri naturali che infieriscono. Anni di guerre e conflitti non sembrano conoscere fine e pure recentemente si sono verificati aspri scontri, mentre i processi di riconciliazione sembrano paralizzati e le promesse di pace restano incompiute».
Di fronte a tutto ciò, ha invitato tutti e le autorità in particolare a far sì che «questa estenuante sofferenza non sia vana; la pazienza e i sacrifici del popolo sud sudanese, di questa gente giovane, umile e coraggiosa, interpellino tutti e, come semi che nella terra danno vita alla pianta, vedano sbocciare germogli di pace che portino frutto».
Il tempo della responsabilità
E se in R.D. Congo, Papa Francesco aveva usato l’immagine simbolica del diamante, in Sud Sudan si è invece richiamato a quella del fiume, essendo il Paese attraversato dal grande Nilo Bianco, lungo il quale arrivarono anche i primi missionari, alcuni dei quali continuano a «trovare la morte mentre seminano la vita» «Distinte Autorità – ha detto il Pontefice – siete voi le sorgenti che irrigano la convivenza comune, i padri e le madri di questo Paese fanciullo. Voi siete chiamati a rigenerare la vita sociale, come fonti limpide di prosperità e di pace, perché di questo hanno bisogno i figli del Sud Sudan: di padri, non di padroni; di passi stabili di sviluppo, non di continue cadute. Gli anni successivi alla nascita del Paese, segnati da un’infanzia ferita, lascino il posto a una crescita pacifica».
Ha ricordato come la violenza faccia «regredire il corso della storia», ma ha pure chiesto con forza di non ridurre «questa terra a un cimitero». Per questo, ha aggiunto, «vi prego, con tutto il cuore, di accogliere una parola semplice: non mia, ma di Cristo. Egli la pronunciò proprio in un giardino, nel Getsemani, quando, di fronte a un suo discepolo che aveva sfoderato la spada, disse: «Basta!» (Lc 22,51). Signor Presidente, Signori Vice-Presidenti, in nome di Dio, del Dio che insieme abbiamo pregato a Roma, del Dio mite e umile di cuore (cfr Mt 11,29) nel quale tanta gente di questo caro Paese crede, è l’ora di dire basta, senza “se” e senza “ma”: basta sangue versato, basta conflitti, basta violenze e accuse reciproche su chi le commette, basta lasciare il popolo assetato di pace. Basta distruzione, è l’ora della costruzione! Si getti alle spalle il tempo della guerra e sorga un tempo di pace!».
Papa Francesco – come pure il presidente Sala Kiir – ha ricordato anche il gesto che aveva compiuto nell’aprile del 2019, quando si era inginocchiato per baciare i piedi al capo dello Stato e ai vice Riek Machar e Rebecca Nyandeng De Mabior, vedova di John Garang: un gesto dirompente accompagnato da un grido di supplica: ┌Vi chiedo come fratello: rimanete nella pace!». Ma, nonostante alcuni tentativi di dialogo, questi stessi leader hanno trascinato di nuovo il Paese nella guerra.
Oggi il Pontefice torna al loro cospetto per ricordare che «chi ricopre responsabilità maggiori, presiedendolo e governandolo, non può che porsi al servizio del bene comune. Ecco lo scopo del potere: servire la comunità. La tentazione sempre in agguato è invece di servirsene per i propri interessi». E ha aggiunto: «Fondamentale, per la vita di una Repubblica, è lo sviluppo democratico. La democrazia presuppone, inoltre, il rispetto dei diritti umani, custoditi dalla legge e dalla sua applicazione, e in particolare la libertà di esprimere le proprie idee… È tempo di passare dalle parole ai fatti. È tempo di voltare pagina, è il tempo dell’impegno per una trasformazione urgente e necessaria. Il processo di pace e di riconciliazione domanda un nuovo sussulto. Ciascun cittadino possa comprendere che non è più tempo di lasciarsi trasportare dalle acque malsane dell’odio, del tribalismo, del regionalismo e delle differenze etniche; è tempo di navigare insieme verso il futuro!».
Al centro, giovani e donne
Ma per farlo è necessario incontrarsi, rispettarsi, conoscersi e dialogare, accogliere gli altri come fratelli. E «per passare dall’inciviltà dello scontro alla civiltà dell’incontro – ha precisato il Papa anche a Juba, dopo averlo fatto pure a Kinshasa – è decisivo il ruolo che possono e vogliono svolgere i giovani. Siano perciò assicurati loro spazi liberi di incontro per ritrovarsi e dibattere; e possano prendere in mano, senza paura, il futuro che a loro appartiene! Vengano coinvolte maggiormente, anche nei processi politici e decisionali, pure le donne, le madri che sanno come si genera e si custodisce la vita. Nei loro riguardi ci sia rispetto, perché chi commette violenza contro una donna la commette contro Dio».
No alla corruzione e alle armi
Riprendendo la metafora del fiume che per non esondare – come purtroppo succede spesso e in maniera devastante in molte regioni del Sud Sudan – deve mantenerne pulito il letto, «la pulizia di cui il corso della vita sociale abbisogna è la lotta alla corruzione». È un tema su cui il Papa ha insistito molto anche in R.D. Congo e che ha ripreso pure a Juba: «Giri iniqui di denaro, trame nascoste per arricchirsi, affari clientelari, mancanza di trasparenza: ecco il fondale inquinato della società umana, che fa mancare le risorse necessarie a ciò che più serve. Anzitutto a contrastare la povertà, che costituisce il terreno fertile nel quale si radicano odi, divisioni e violenza. L’urgenza di un Paese civile è prendersi cura dei suoi cittadini, in particolare dei più fragili e disagiati. Penso soprattutto ai milioni di sfollati che qui dimorano: quanti hanno dovuto lasciare casa e si trovano relegati ai margini della vita in seguito a scontri e spostamenti forzati!».
Papa Francesco ha stigmatizzato anche la necessità di arginare l’arrivo di armi, ricordando come il Paese abbia bisogno di molte cose- specialmente in ambito umanitario, educativo e sanitario – ma certamente non di strumenti di morte.
«So che alcune mie espressioni possono essere state franche e dirette – conclude Papa Francesco rivolgendosi alle autorità Sud Sudanesi – ma vi prego di credere che ciò nasce solo dall’affetto e dalla preoccupazione con cui seguo le vostre vicende, insieme ai fratelli con i quali sono venuto qui, pellegrino di pace. Desideriamo offrire di cuore la nostra preghiera e il nostro sostegno affinché il Sud Sudan si riconcili e cambi rotta, perché il suo corso vitale non sia più impedito dall’alluvione della violenza, ostacolato dalle paludi della corruzione e vanificato dallo straripamento della povertà. Il Signore del cielo, che ama questa terra, le doni un tempo nuovo di pace e di prosperità: Dio benedica la Repubblica del Sudan del Sud!».