Secondo le organizzazioni non governative presenti in Burundi è fondamentale tenere alta l’attenzione per evitare una nuova guerra nella regione dei Grandi Laghi. “La pressione della comunità internazionale può evitare il genocidio” afferma Marco Bello del Cisv.
“Almeno 240 persone sono state uccise dall’inizio delle proteste iniziate nel mese di aprile, con corpi gettati per le strade su quasi ogni notte. Ci sono stati centinaia di casi di arresti e detenzioni arbitrarie nel solo mese scorso nei confronti di esponenti dell’opposizione, di giornalisti, di attivisti per i diritti umani e degli abitanti dei quartieri in cui vivono esponenti dell’opposizione”. L’alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Zeid Ra’ad Al Hussein, è intervenuto oggi sulla crisi in atto in Burundi affermando che la comunità internazionale attiverà ogni strumento di pressione possibile per fermare le violenze in corso e per evitare una crisi ancora peggiore in tutta la regione. Il messaggio è chiaro. Mai più un ritorno al passato. “Frasi come quelle pronunciate in questi giorni richiamano un linguaggio che questa regione ha sentito prima, e non dovrebbe mai più essere sentito” ha detto Zeid.
“A fare la differenza in questi ultimi giorni è stata l’attenzione piuttosto alta della comunità internazionale e, soprattutto, il coraggio di giornalisti e blogger ancora rimasti nel Paese nel fare uscire le notizie, nel raccontare il genocidio che si sta pianificando” afferma Marco Bello, dell’ufficio progetti del Cisv, organizzazione non governativa italiana presente da oltre 40 anni in Burundi. “Rispetto al passato escono molte più informazioni dal Burundi e questo può fare la differenza” sottolinea Bello, che ha vissuto nel Paese africano dal 1998 al 2000 e ha vissuto gli strascichi della guerra civile iniziata nel ’93 e conclusasi, almeno formalmente, nel 2005.
La crisi attuale è iniziata da quando in aprile il presidente Pierre Nkurunziza (nella foto) si è candidato per un terzo mandato, in violazione della Costituzione e degli accordi di pace di Arusha. Il 2 novembre, il neorieletto Presidente della Repubblica burundese ha pronunciato un discorso alla nazione in cui ha autorizzato la polizia ad “usare tutti i mezzi” per ripulire dal 7 novembre in poi i quartieri che non riconoscono la legittimità del suo potere. A rivelare il clima incandescente nel Paese è stato soprattutto un discorso pronunciato il 29 ottobre dal Presidente del Senato, Révérien Ndikuriyo, e registrato a sua insaputa, durante il quale ha invitato i servizi di sicurezza a “fare tabula rasa” e a “sterminare questa gente buona soltanto a morire”. “Aspettate il giorno in cui vi diremo di “lavorare”, dovrete fare la differenza!” ha dichiarato Ndikuriyo, rievocando lo stesso linguaggio usato in Ruanda nel ’94 per incitare al genocidio.
Già mesi fa, a maggio, le ong italiane presenti in Burundi avevano lanciato un appello congiunto in cui chiedevano ai media di rompere il silenzio sul Burundi. “L’informazione su quanto sta accadendo in quest’area dell’Africa resta tuttora molto scarsa sui quotidiani italiani” afferma Marco Bello, “soprattutto se paragonata con quella dei media anglofoni e francofoni, che da mesi tengono alta l’attenzione sui Grandi Laghi”. A fare la differenza, rispetto alla crisi degli anni 90, è soprattutto l’informazione sul web: “I collegamenti veloci, internet e i social media permettono di far circolare quasi in modo immediato le informazioni” afferma Bello. “Sono rientrato da poco dal Burkina Faso e lì i giovani sono molto coscienti di quanto accade nei Paesi vicini e nel continente. Del resto sono soprattutto i giovani a non poterne più delle vecchie élite politiche che fanno di tutto pur di mantenere il potere. Comunicano fra di loro e diffondono le notizie. In Burundi giornalisti e blogger hanno continuato a comunicare con l’esterno a garantire la diffusione delle notizie a loro rischio e pericolo, nonostante la chiusura di tutte le testate giornalistiche indipendenti da parte del governo e nonostante le intimidazioni e le esecuzioni”.
L’arroccamento al potere delle vecchie élite non è una prerogativa del Burundi, ma un copione che in questi mesi si sta riproponendo in diversi Paesi. In Ruanda il parlamento ha approvato un progetto di riforma costituzionale che permette all’attuale presidente Kagame di ricandidarsi per un terzo mandato e poi fino al 2034. In Congo Brazzaville il 25 ottobre è stato adottato il progetto di una nuova Costituzione che permette al presidente Denis Sassu Nguesso, al potere da quasi vent’anni, di ricandidarsi nel 2016 per la terza volta. Nel 2016 ci saranno le elezioni anche nella Repubblica democratica del Congo e anche qui la crisi si è aperta dopo i tentativi dell’attuale presidente Joseph Kabila, al potere dal 2001, di aggirare il divieto di candidarsi per la terza volta.