L’Unione africana ha creato un gruppo di dialogo con cinque capi di Stato africani che andrà in Burundi per convincere il governo ad accettare una forza di peacekeeping.
Entra in campo la formazione africana. Cinque capi di Stato cercheranno di convincere il governo del Burundi ad accettare la forza di peacekeeping che finora ha continuato a rifiutare.
L’Unione africana ha incaricato del difficile compito i presidenti Mohamed Ould Abdel Aziz della Mauritania, Ali Bongo del Gabon, Macky Sall del Senegal, Jacob Zuma del Sudafrica e il primo ministro dell’Etiopia Hailemariam Desalegn.
Si tratta di fermare una catena di uccisioni che va avanti da nove mesi, da quando cioè l’attuale presidente Pierre Nkurunziza ha deciso di candidarsi per la terza volta in violazione della costituzione. Il bilancio è di 500 vittime, fra oppositori politici e civili assassinati dalle forze governative nel tentativo di reprimere il dissenso, e di 230 mila sfollati. Una repressione che, nel linguaggio e nella prassi, ha evocato i peggiori spettri del passato del Burundi, che nel 2005 si è lasciato alle spalle la guerra civile a sfondo etnico e la crisi innescata dal genocidio ruandese.
La decisione di creare una task-force di dialogo è una sorta di “piano B” scattato a conclusione di un lungo braccio di ferro con il governo di Bujumbura. Lo scorso dicembre l’Unione africana aveva annunciato la volontà di dispiegare una forza di peacekeeping di 5mila caschi blu nel Paese africano e, di fronte all’opposizione del governo burundese, aveva minacciato di applicare un articolo dello Statuto dell’Ua che consente, in alcuni casi, di intervenire anche senza il consenso del Paese interessato. Quest’opzione è stata però accantonata durante il recente summit dell’Ua ad Addis Abeba, che si è chiuso il 31 gennaio.
L’Ua sembra aver scelto una linea più morbida, anche dopo le rivelazioni dell’ultimo mese, soprattutto dopo le riprese satellitari che hanno confermato l’esistenza di fosse comuni nel Paese . La missione dei capi di Stato africani dovrebbe svolgersi nel mese di febbraio. Secondo quanto rivelato da una fonte diplomatica occidentale all’agenzia Reuters a un livello più internazionale si starebbe prendendo in considerazione l’ipotesi di una serie di sanzioni nei confronti del governo burundese nel caso in cui dovesse continuare a rifiutare una forza di mediazione.
Foto: una delle immagini satellitari pubblicate sul sito di Amnesty International che confermerebbe l’esistenza di recenti fosse comuni in Burundi