Conflitto in Etiopia: è già crisi umanitaria
Scade oggi, 25 novembre, l’ultimatum del premier etiope Abiy Ahmed alle forze del Tigray. Ma qualunque sia l’esito – si teme un attacco al capoluogo Makallé – la situazione umanitaria è già catastrofica.
Un’escalation militare fatta di bombardamenti, attacchi e violenze indiscriminate, ma anche di vendette e rese dei conti. E una crisi umanitaria che rischia di diventare catastrofica in una terra già estremamente vulnerabile. Il conflitto nella regione del Tigray, che dallo scorso 4 novembre oppone le forze del governo centrale a quelle del Fronte di liberazione dei popoli del Tigray (Tplf), hanno già provocato centinaia di morti e decine di migliaia di sfollati. Secondo l’Unhcr, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, sono oltre 40 mila le persone fuggite al di là del confine con il Sudan orientale, più di cinquemila solo nello scorso fine settimane. A questi si aggiungono più di 100 mila etiopi già sfollati all’interno del Paese e 96 mila rifugiati eritrei che vivono in quattro campi nel Tigrai. Tutti attualmente irraggiungibili delle organizzazioni internazionali. Una tragedia umanitaria che ha già assunto proporzioni inquietanti al di qua e al di là del confine con il Sudan. Anche perché tra i fuggitivi più della metà sono minorenni. Anche l’Unicef ha lanciato l’allarme: almeno 2,3 milioni di bambini sarebbero bisognosi di aiuti umanitari urgenti. Ma «il blackout delle comunicazioni e le restrizioni imposte agli spostamenti nella regione del Tigray impediscono di raggiungerli», ha denunciato la direttrice generale dell’Unicef, Henrietta Fore. E anche coloro che sono fuggiti oltre confine, spesso senza genitori o solo con le mamme, si trovano in una situazione di grande precarietà e insicurezza. «I combattimenti stanno rallentando l’arrivo di aiuti, compresi cibo e medicinali – ha dichiarato il direttore per l’Africa orientale del Jesuit Refugee Service (il Servizio dei gesuiti per i rifugiati, Jrs) Andre Atsu -. Qualunque cosa accada dovrebbero consentire un corridoio umanitario sicuro per le forniture destinate agli operatori umanitari e ai rifugiati». «Alcuni membri del nostro personale – ha aggiunto preoccupato – non sono originari del Tigray e temiamo per la loro sicurezza se la situazione dovesse deteriorarsi in combattimenti etnici». Cosa che, puntualmente, è avvenuta. La Commissione etiopica per i diritti umani e Amnesty International hanno denunciato la strage di circa 600 contadini stagionali non tigrini nella città di Mai-Kadra a opera di una milizia informale di giovani e di membri delle forze di sicurezza leali alle autorità del Tigray. I responsabili, si legge nel rapporto delle Commissione etiope, «hanno ucciso centinaia di persone, picchiandole con manganelli e bastoni, accoltellandole anche a colpi di machete e strangolandole con corde. Hanno poi saccheggiato e distrutto le proprietà». Un massacro che «potrebbe rientrare tra i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra». Anche i vescovi delle Conferenze episcopali dell’Africa orientale hanno espresso grande preoccupazione: «Condanniamo l’uso della forza militare, che non farà che trasformare il conflitto in vera e propria guerra civile, cosa che destabilizzerà ancora di più l’Etiopia. Chiediamo pertanto al governo federale dell’Etiopia e al Fronte popolare di liberazione del Tigray di cessare di alimentare il conflitto con operazioni militari e di accusarsi reciprocamente dei tragici eventi che si stanno verificando». Il conflitto rischia anche di allargarsi pericolosamente a tutta la regione. Ma, nonostante le pressioni internazionali – peraltro molto blande -, il governo di Addis Abeba respinge ogni proposta di mediazione, mentre i leader del Tplf si sono spinti, nei giorni scorsi, a lanciare missili sulla capitale dell’Eritrea, L’Asmara, che fortunatamente non ha reagito. Mentre Egitto e Sudan – che con l’Etiopia hanno aperto un delicato contenzioso sulle acque del Nilo – hanno avviato sospette esercitazioni militari. Intanto, si è conclusa senza esito la riunione del Consiglio di sicurezza Onu del 24 novembre, anche perché è stata abbandonata dai membri di turno africani (Sudafrica, Niger, Tunisia con Saint Vincent e Grenadine) secondo i quali le istituzioni africane sarebbe in grado gestire la crisi. Peccato che l’UA non stia dando grandi segni di vita….Articoli correlati
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