Ben 191 calciatori delle 24 nazionali africane che si stanno contendendo il titolo continentale in Camerun sono nati in Europa: i figli della diaspora decidono sempre più spesso di militare nelle squadre dei Paesi d’origine. Solo un giocatore delle Comore è originario dell’arcipelago, mentre il portiere della Guinea Bissau è nato a Cuneo
Era un viaggio di solo andata. Ma ora c’è anche l’opzione del ritorno. La Coppa d’Africa, competizione dove a cadenza biennale si sfidano le nazionali di calcio del Continente, racconta storie di migrazione al contrario. Un’evoluzione al passo con i tempi. Nel torneo di quest’anno, in corso in Camerun dal 9 gennaio, ci sono ben 191 giocatori nati in Europa. E pensare che nell’edizione del 1992, in Senegal (12 squadre partecipanti), erano 3; in quella del 2002, in Mali (16 le formazioni ammesse), 18. Ora alla Coppa d’Africa partecipano 24 nazionali e praticamente tutte le qualificate – ad accezione di Egitto, Malawi ed Etiopia – hanno in rosa almeno un calciatore venuto al mondo nel Vecchio Continente.
Si tratta dei figli della diaspora, in Francia chiamati “bi-nationaux”: sono nati (e poi cresciuti calcisticamente) in Europa, ma hanno accettato di rappresentare il Paese dei loro genitori o nonni. Questo grazie anche ad alcune regole della Fifa. Dal 2004 si può giocare nella nazionale giovanile di uno Stato e poi scegliere quella maggiore di un altro. Fino ad allora se si debuttava con un Paese non si poteva più cambiare idea. In questa edizione della Coppa d’Africa ci sono 30 giocatori con un passato in una nazionale europea. Un esempio è Koulibaly del Napoli: nato in Francia, ha militato nelle giovanili transalpine, salvo poi scegliere il Senegal, diventandone il leader della difesa.
Dal 2020 è stato stabilito che se un giocatore, prima dei 21 anni, ha meno di 3 presenze con una nazionale può rispondere alla convocazione di un’altra. È il caso di Munir (passato dalla Spagna al Marocco) o Caulker (dall’Inghilterra alla Sierra Leone): entrambi giocano questa Coppa d’Africa con il Paese d’origine della loro famiglia. Dei 191 europei convocati al torneo ben 109 sono nati in Francia. E poi 21 in Spagna, 16 in Inghilterra e 13 in Olanda, ma anche 9 in Portogallo, 6 in Svezia, 5 in Germania e in Belgio, 3 in Svizzera ed 1 in Irlanda, Danimarca, Romania e Italia.
Qualche riferimento. Solo un giocatore delle Isole Comore è nato lì (Ali Mohamed). I suoi compagni vengono dal vicino dipartimento d’oltremare di Mayotte (4) o dalla Francia (23), soprattutto da Marsiglia, dove c’è una nutrita comunità di comoriani. Gran parte della rosa della Guinea Equatoriale è formata da calciatori nati in Spagna (16). Hanno scelto di rappresentare il Paese di loro papà l’attaccante del Sudan, Hamed, o il difensore di Capo Verde, Lopes: i due giocatori sono nati, rispettivamente, in Romania e Irlanda.
E l’Italia? C’è il portiere della Guinea-Bissau, Maurice Gomis, nato a Cuneo. Piccola curiosità: anche suo fratello maggiore, Alfred, parteciperà al torneo, ma difende i pali del Senegal, in cui è nato. La Francia ha dato i natali alle stelle più attese della manifestazione, quelle che si sono fatte un nome nei club più importanti d’Europa: l’algerino Mahrez (Manchester City), il gabonese Aubameyang (Arsenal) e l’ivoriano Haller (Ajax). Il portiere della Nigeria, Okoye, è nato in Germania, quello della Guinea, Keita, in Svezia (il numero 1 del Marocco, Bounou, addirittura in Canada). Janko del Gambia in Svizzera, Zemura dello Zimbabwe in Inghilterra, Slimane della Tunisia in Danimarca. E sono solo alcuni di quelli che hanno optato per un ritorno alle origini in nazionale.
Come omaggio alle proprie radici e possibilità di maggiore visibilità internazionale: i motivi sono diversi. Ma la certezza è nei numeri. Nell’Europeo della scorsa estate c’erano 55 calciatori con origini africane, che hanno vestito la maglia dei Paesi che li hanno accolti (da Isak nella Svezia, entrambi i genitori eritrei, a Zakaria nella Svizzera, madre congolese e padre sudsudanese). E la Francia (dei vari algerini Zidane, prima, e Mbappé, oggi) ha vinto il Mondiale del 2018 con 14 giocatori (su una rosa di 23) aventi radici nelle ex colonie africane. La tendenza sta cambiando. E lo insegna questa Coppa d’Africa: ora la migrazione calcistica funziona anche al contrario.