Fondatore e direttore dell’unico ospedale del Kivu che si occupa di donne stuprate, ha subito un tentativo di assassinio. Dopo tre mesi all’estero, è rientrato lo scorso gennaio in R. D. Congo
Denis Mukwege è nel suo studio medico nell’ospedale Panzi di Bukavu. Risponde al telefono. È molto preoccupato. Dall’altra parte si sentono voci concitate. Lui dà consigli, cerca di rassicurare, di dare informazioni precise. Dice di scappare via. Di mettere in salvo se stessi e i pazienti. Prima possibile. In un altro presidio medico della regione del Sud Kivu, devastato dalla guerra, è in corso un attacco di miliziani che non guardano in faccia nessuno. Uccidono, saccheggiano, derubano e violentano chiunque incontrino sul loro cammino. Persino i malati di un misero dispensario di brousse.
In quel dispensario il dottor Mukwege, che oggi ha 57 anni, aveva lavorato prima di dirigere l’ospedale Panzi di Bukavu, l’unico centro ospedaliero di tutta la regione ad accogliere donne vittime di stupri. C’è un reparto intero solo per loro, diviso con una certa discrezione dal resto dell’ospedale. In media vi venivano ricoverate tra le 200 e le 250 donne; circa 3.600 in un anno. Almeno finché le cose non sono ulteriormente precipitate. E lo stesso dottor Mukwege, divenuto famoso in tutto il mondo e pluripremiato per la sua meritoria e coraggiosa opera, non è stato lui stesso preso di mira. È scampato per miracolo a un tentativo di assassinio. Ma uno dei suoi collaboratori è stato ucciso. Per questo, il medico ha deciso di lasciare il Paese insieme alla sua famiglia nell’ottobre del 2012. Lo scorso 14 gennaio, però, “le docteur” è rientrato nel suo Paese, accolto come un eroe e protetto come un capo di Stato.
Sfidando tutti e tutto, il dottor Mukwege è tornato nell’ospedale che aveva contribuito a fondare nel 1999 e che ha sempre diretto, alla periferia di Bukavu, per stare accanto ai suoi pazienti, ma soprattutto alle “sue” donne. Sono migliaia quelle che visita, che opera e che accompagna, insieme al suo staff, in un difficilissimo percorso di recupero fisico e psicologico. E, comunque, sono solo una piccolissima parte di quelle che subiscono violenze sessuali in quella terra martoriata sin nel suo intimo. Una terra dove l'”arma dello stupro” è stata ed è sistematicamente usata per brutalizzare il tessuto sociale e per distruggere, profanando il ventre delle donne, tutto ciò che è sacro per la cultura e la morale di questa gente. Sono 50, 60 mila o forse più le vittime di quello che viene definito un vero e proprio “genocidio sessuale”. Nella totale impunità.
«Ci sono troppi interessi in questa regione – ci raccontava il dottor Mukwege visibilmente amareggiato, mentre ci mostrava il suo ospedale -. E l’interesse per l’uomo viene dopo gli interessi materiali». In questi anni, ha visto passare per quelle corsie e per le sue sale operatorie l’orrore in tutte le sue forme. «La violenza, specialmente quella contro le donne – dice – ha assunto una dimensione e una gravità inaudite. Non parliamo più solo di stupri, ma di vere e proprie torture. In alcuni villaggi tutte le donne sono state violentate, rapite, ridotte a schiave sessuali, contagiate dall’Aids; un trauma per tutta la comunità, che provoca la distruzione della struttura e della coesione sociale».
Il medico non aveva esitato a denunciare i responsabili, identificandoli non solo tra i gruppi ribelli, ma anche tra i militari dell’esercito congolese e la polizia, ovvero tra le forze dell’ordine che invece di garantire la sicurezza della popolazione ne sono diventate i carnefici. Recentemente, in un articolo sottoscritto insieme a numerose altre personalità, aveva denunciato il fatto che in Kivu si continua a «stuprare nel silenzio generale». E aveva puntato il dito anche contro l’inefficacia della missione delle Nazioni Unite, una delle più consistenti e costose al mondo. «Eppure – si legge nell’appello – basterebbe che i 17 mila soldati della missione Onu per il Congo (Monusco) fossero chiamati a fare il loro dovere e a garantire la loro missione per il mantenimento della pace e della dignità dell’uomo».
«Non abbiamo bisogno della Monusco – ha detto al suo rientro una delle donne ricoverate all’ospedale – ci penseremo noi a proteggerlo». Visti i risultati ottenuti sinora c’è da credere che potrebbero essere più efficaci. Nel frattempo, un gruppo di altre donne congolesi ha preso carta e penna per ridire quello che è già stato detto molte volte nella totale indifferenza del mondo: «Molte donne congolesi sono vittime ogni giorno da quindici anni di stupri, violenze sessuali, mutilazioni, torture e altri veri e propri atti di barbarie. Tutto questo è intollerabile, insopportabile ed è durato già troppo. La donna congolese si sente macchiata, umiliata, calpestata, colpita nella sua dignità di donna di moglie e di madre. E il mondo fa finta di non vederla». Dal canto suo, il dottor Mukwege, che queste donne le guarda in faccia tutti i giorni, ha salutato la folla accorsa ad accoglierlo, invitando tutti a «rispondere alla violenza con l’amore».