Un nuovo caso di Ebola in Sierra Leone. A confermarlo è l’Organizzazione mondiale della sanità. È un campanello d’allarme che richiama a non abbassare la guardia, affermano i medici del Cuamm impegnati sul campo.
Solo ieri l’Oms aveva certificato la fine dell’epidemia di ebola nell’Africa Occidentale, dove il virus ha ucciso più di 11.300 persone dal 2013 ad oggi. La tregua è durata pochi giorni. Oggi è arrivata la notizia di un nuovo decesso in Sierra Leone. Si tratta di un caso riconosciuto post mortem, un test effettuato su una donna ormai deceduta nel distretto di Tonkolili, in particolare nella città di Magburaka, nel centro del paese.
«Era una possibilità che speravamo non si concretizzasse, ma consapevoli che avremmo potuto avere nuovi casi positivi nel paese si è continuato a mantenere un sistema di “sorveglianza aumentata» dice Matteo Bottecchia, coordinatore paese del Cuamm in Sierra Leone. La donna deceduta, una studentessa di 22 anni, si trovava in visita a parenti nel distretto di Kambia, al confine con la Guinea, quando si è ammalata. Da lì ha viaggiato per molti chilometri fino alla città natale di Magburaka dove è morta dopo alcuni giorni. La sorveglianza aumentata prevede che tutti i decessi siano sottoposti a test Ebola. Sulla ragazza il test è stato eseguito tre volte per cautela, l’equipe medica voleva avere la certezza che non si trattasse di un errore.
Medici con l’Africa Cuamm è impegnato sul campo a Lunsar, non lontano dalla città in cui è stato registrato il caso e riferisce che un team dell’OMS è già stato inviato a Kambia per indagare sul contagio, mentre a Magburaka è stata attivata la macchina del contact tracing per tracciare i contatti ed arrestare tempestivamente un possibile nuovo contagio diffuso.
«Questo nuovo caso è un forte banco di prova per le istituzioni – si legge nel comunicato del Cuamm -, in una fase che prevede la transizione, ad oggi in corso, dall’emergenza straordinaria con strutture dedicate alla gestione emergenze di salute pubblica come funzione integrata nel Ministero della Salute. Ancora di più è un campanello d’allarme che richiama a non abbassare la guardia, soprattutto per gli operatori sanitari come i medici Cuamm impegnati sul campo ogni giorno. L’eventualità di trovarsi di fronte a un caso d’Ebola, nel proprio impegno quotidiano, è presente, i rischi connessi alle donne sopravvissute al virus che porteranno a termine una gravidanza esistono, la necessità di continuare a rafforzare i meccanismi di controllo e prevenzione delle infezioni è centrale. Il sistema sanitario è ancora debole, la speranza è che la sensibilizzazione fatta e l’esperienza accumulata possano aiutare a tenere sotto controllo il contagio».
In Sierra Leone l’epidemia di ebola è durata un anno e 5 mesi, con 14.222 i casi registrati e 3.955 morti. Allo scoppiare dell’epidemia a inizio 2014, Medici con l’Africa Cuamm è rimasta accanto alla popolazione, nella lotta a questo terribile flagello, fino al 7 novembre scorso, quando il Paese era stato dichiarato “libero” dal contagio.
L’Ospedale di Pujehun non ha mai chiuso e nella lotta all’epidemia l’azione si è concentrata su due ambiti: da un lato fornire agli operatori sanitari tutti gli strumenti di protezione di cui avevano indispensabile bisogno; dall’altro continuare nel lavoro di identificazione e isolamento dei malati. È stato quindi avviato un sistema triage per l’identificazione dei casi sospetti nei centri sanitari. Contemporaneamente, con uno sforzo logistico considerevole, sono stati aperte due unità di isolamento a Pujehun e a Zimmi.
Medici con l’Africa ha svolto un lavoro di sensibilizzazione delle comunità attraverso i “contact tracer”: un gruppo di giovani che, percorrendo il territorio in lungo e in largo, muniti di moto, cellulare e taccuino, tracciavano tutti i contatti avuti da un nuovo contagiato. In totale sono state messe in isolamento oltre 1.200 persone ed è stato possibile contenere il contagio, facendo di Pujehun il primo distretto del paese ad essere dichiarato Ebola Free.