Economia al femminile

BAMBARAM
Le donne africane sono la spina dorsale  della società, eppure non contano nelle grandi decisioni economiche

 

Passando per le vie di Bissau, non è difficile incontrare le bideras, cioè le donne che vendono ai lati della strada, fuori da una scuola, in un angolo della via. Fuori dal liceo Giovanni XXIII, gestito dalla diocesi, ogni giorno trovo Sulita: è una donna molto simpatica, dinamica, sposata con cinque figli ormai grandi, e tutti studiano. Il marito lavora, ma il salario non è sufficiente per sostenere la famiglia e la scuola dei figli. Ecco allora che Sulita, tutti i giorni, al mattino presto, verso le cinque o prima ancora, si alza per cucinare, preparare torte, focacce, biscotti da vendere fuori dal liceo. Prima di uscire sistema e prepara tutto per i figli, perché il ritorno è solo la sera. Quando le lezioni al liceo terminano, nel pomeriggio, si sposta a vendere sull’altro lato della strada. Quando ormai è sera e ha terminato la sua attività, va al mercato e compra farina, zucchero, uova per preparare cibo da vendere il giorno dopo. Dice che riesce ad avere un buon guadagno, che le permette di pagare la scuola dei figli. A volte, passando, chiedo: «Sulita non sei stanca?». Lei risponde con un grande sorriso: «No suora. Sì, è faticoso perché non posso seguire i miei figli in casa, ma lo faccio per loro, perché possano avere quello che io non ho potuto avere, e sono contenta se loro un giorno riusciranno nella vita».

Bissau è una città dove le donne sono presenti in ogni luogo, strada o mercato come venditrici e compratrici. Il mercato, in particolare, non è solo un luogo in cui vendere o comprare, ma anche un luogo dove ci si scambiano le informazioni e dove, a volte, le donne si riposano. Anche se il guadagno non giustifica il tempo impiegato, le donne continuano ad andarci per motivi che non sono strettamente economici. Nonostante la povertà, i limiti dettati dalla mancanza di istruzione, le funzioni che l’universo maschile riserva loro, le donne della Guinea mettono in atto strategie per sopravvivere e promuovere la mobilità sociale dei figli. Il proverbio “Chi dorme non piglia pesci” è particolarmente vero nella vita delle donne: in Guinea non dormono, tentano di tutto per riuscire a sostenere la famiglia.

A ogni angolo di strada le bideras allestiscono un piccolo tavolo, anche solo con un termos per il ghiaccio. Chi ha più possibilità riesce a mettere su una piccola baracca. Comprano prodotti che poi rivendono, oppure ne producono di propri. Sono loro a controllare il piccolo commercio di alimentari, frutta, verdura e acqua. Costituiscono una categoria socio-professionale. Molte hanno imparato fin da piccole, accompagnando la mamma, la sorella o la zia. Spesso non è una libera scelta. A volte iniziano questa attività sulla scia di qualche altra donna della famiglia che le indirizza, altre volte perché sposano un commerciante. Il loro obiettivo è raggranellare un piccolo reddito. Molte di loro sono sole, separate o vedove, altre non possono contare sul salario del marito, a volte inesistente. Il reddito insufficiente le obbliga a cercare altre attività remunerative per garantire la sopravvivenza della famiglia. Le donne africane sono la spina dorsale della società e, spesso, anche dell’economia informale. Sulle loro spalle gravano il peso e le responsabilità del vivere quotidiano. Il corpo stesso della donna in Africa non è associato all’idea di fragilità, ma è una garanzia di forza. Fa riflettere che, nonostante sia la donna a produrre l’80% degli alimenti nei Paesi poveri, sia esclusa dalla partecipazione attiva alle decisioni ad alto livello nell’economia.