Misure drastiche, coprifuoco, divieto di qualsiasi manifestazione. In Algeria, il coronavirus fa davvero molta paura. E anche la comunità Pime di Algeri, particolarmente attiva sul fronte dei giovani, si attrezza per “inventarsi” nuove forme di vicinanza. Anche con l’Italia. Il racconto di padre Piero Masolo da Algeri
L’Algeria è uno dei Paesi in Africa più colpiti dal coronavirus, con centinaia di casi, decine di morti e un’intera regione, quella di Blida, completamente isolata. Ma è tutto il Paese che vive con il fiato sospeso e sottoposto a misure molto restrittive. Al punto che persino il movimento di protesta – conosciuto come Hirak – che andava avanti con grande determinazione tutti i venerdì dal febbraio 2019 ha dovuto “arrendersi”. Non tanto alla repressione del nuovo governo, ma a causa del virus.
Anche la piccola Chiesa cattolica algerina ha preso immediatamente tutti i provvedimenti necessari per garantire il distanziamento tra le persone. Una misura che ha colpito, in particolar modo, i molti studenti subsahariani che rappresentano l’anima di questa Chiesa e che ora sono confinati nei loro alloggi universitari o a casa.
Lo stesso avviene per la comunità del Pime di Algeri, particolarmente attiva sul fronte dei giovani. E che oggi si è inventata nuove forme di vicinanza, specialmente attraverso Internet e i social. Il racconto di padre Piero Masolo dalla capitale algerina.
Padre Piero, puoi descriverci com’è la situazione lì?
La situazione è strana. Se dovessi riassumerla in una sola parola questa è: silenzio. Non ho mai ascoltato così tanto silenzio in questa città, in questa megalopoli di 7 milioni di persone che è Algeri dove viviamo. Uno stranio silenzio… A Blida hanno imposto il coprifuoco totale ad Algeri parziale. Il che significa che davvero non si sente nulla. Non ci sono auto né persone per strada, dalle 19 alle 7. Anche qui come in Italia e tanti altri Paesi le chiusura sono state progressive. All’inizio ci sono state un po’ di indecisioni. Non si è capito veramente l’entità della cosa: poi, a poco a poco, sono state fermate prime le scuole, le attività culturali, le università; quindi il primo ministro ha chiesto di rimanere a casa il più possibile e sono stati chiusi i negozi, salvo gli alimentari e le farmacie, così come le attività produttive e i cantieri. Infine sono state chiuse anche le moschee e dunque anche le nostre chiese. Per cui sì, è una situazione di irreale silenzio.
Voi come comunità Pime ad Algeri, come state vivendo questo momento così particolare?
Nella comunità di El Biar siamo attualmente in sette. E siamo molto fortunati. Perché con noi c’è una famiglia dell’Associazione Laici Pime (Alp), quella di Chiara e Toto La Loggia, con i loro bambini, Zaccaria di 3 anni e mezzo e Vera di 7 mesi. Dunque siamo belli vivi! Il primo impegno di Chiara e Toto, così come di molti altri amici che sento in diverse parti del mondo, è quello di dedicarsi ai loro figli e di garantire un po’ di scuola a casa. Poi con noi c’è Graziella Rapacioli, che si occupa di Caritas Algeria. E c’è padre Constant, con cui possiamo celebrare insieme la Messa tutti i giorni e in un piccolo gruppo. Preghiamo insieme per amici, parenti, conoscenti che hanno perso la vita o che hanno avuto lutti e malattia in casa.
Immagino che tutte le attività dedicate ai giovani siano state sospese…
Certamente. Le attività si sono fermate, ma le relazioni continuano. L’altro giorno un amico, un pastore anglicano che sta qui ad Algeri, mi diceva: «È come se fosse Natale». Perché si ascoltano le persone, si parla con loro, magari con gente con cui non si avevano rapporti da mesi o da anni. Come appunto capita nel periodo di Natale. Questo è quello che cerchiamo di fare in tutte le attività che portiamo avanti con i giovani e con i ragazzi. C’è molta comunicazione per telefono e sui social in maniera tale che nessuno si senta da solo. E poi facciamo avere materiali di due tipi: per aiutarsi a pregare e anche per sorridere. Questo soprattutto con gli studenti universitari africani che accompagno come cappellano. Anche Chiara e Toto fanno lo stesso con i giovani algerini con cui lavorano nel teatro e nelle attività culturali. E poi c’è la scuola che continua. Io insegno al Liceo italiano e le lezioni proseguono con una serie di materiali audio e video, mentre gli studenti mi rispondono mandando gli esercizi. Un po’ come stanno facendo tanti insegnanti in Italia.
Anche la piccola comunità cristiana d’Algeria ha dovuto prendere una serie di provvedimenti e precauzioni. Voi siete già molto piccoli e spesso molto isolati. Questa emergenza coronavirus vi rende in qualche modo ancora più fragili?
C’è preoccupazione specialmente per quelli tra noi che vivono proprio da soli. Mentre coloro che sono in comunità possono beneficiare della Messa quotidiana e di un minimo di relazioni e scambi. Questo ci fa sentire meno soli, perché c’è la consapevolezza di “portarsi” a vicenda e questo è prezioso e ci fa molto bene. Inoltre sono nati gruppi di Whatsapp con cui ci scambiamo informazioni e materiali, ad esempio tra noi cappellani degli studenti a livello nazionale, e questo aiuta ognuno di noi ad animare i giovani che accompagniamo. Per cui sì, siamo piccoli, ma non siamo soli.
C’è un messaggio che voi che siete in Algeria vorreste far arrivare in Italia?
Spontaneamente direi un messaggio di unità. Unità a distanza. Perché questa pandemia che colpisce tutti indistintamente e indiscriminatamente ci fa rendere conto di come ci vogliamo bene. Quindi, quello che mi viene proprio da suggerire è di dirlo. Ditelo ai vostri familiari e ai vostri amici, ditegli che gli volete bene perché è un momento pesante e sapersi “portati”, appoggiati, semplicemente amati, è qualcosa che fa davvero bene.
La Fondazione Pime Onlus ha aperto una raccolta fondi d’emergenza per interventi di lotta al Covid19 nei Paesi dove sono presenti i missionari.Per donare, clicca qui: Emergenza Coronavirus nel mondo