La testimonianza di padre Jean-Marie Lassausse dal monastero di Tibhirine e l’auspicio dei vescovi dell’Algeria. Oltre la condanna della strage, la necessità di una «comunione dei cuori e degli spiriti»
«Vivo in un villaggio di 750 abitanti, Tibhirine, dove mi occupo del monastero da cui, nel 1996, furono sequestrati e poi uccisi sette monaci trappisti. Anche qui, lo choc e la costernazione, miei e di tutti, per gli attentati di Parigi sono grandi». Così padre Jean-Marie Lassausse interviene da uno dei luoghi-simbolo della Chiesa d’Algeria e universale, luogo privilegiato di dialogo islamo-cristiano, ma anche di martirio.
«Questa mattina – continua il sacerdote – prendendo il caffè con i miei due operai, gli stessi che lavoravano vent’anni fa per i monaci, non potevamo che confidarci la comune condanna e l’enorme tristezza per i morti innocenti di Parigi. Io, unico cristiano che risiede permanentemente in questa zona, ho condiviso lo stesso dolore e lo stesso sconcerto dei miei vicini musulmani».
Il monastero di Tibhirine continua a vivere tra mille difficoltà. Anche qui le ripercussioni della crisi in Medio Oriente si fanno sentire. Il numero dei visitatori stranieri, ad esempio, si è dimezzato nell’ultimo anno e le autorità sempre di più negano i permessi agli espatriati di salire su queste alture dell’Atlante algerino, dove padre Jean-Marie garantisce una presenza di preghiera e di lavoro condivisa con gli abitanti del luogo.
«Questa ennesima strage – aggiunge il sacerdote, che vive da più di trent’anni in contesti musulmani, cercando di portare avanti in molti modi il dialogo della vita – mi riporta alla mente le parole di padre Christian de Chergé, priore di Tibhirine: “Signore, disarmali! Disarmaci!”. Strappa qualsiasi violenza, qualsiasi odio, qualsiasi risentimento dal nostro cuore. La violenza troppo spesso chiama altra violenza. Le armi vendute si ritorcono contro di noi. La violenza non può risolvere il problema di Isis».
Anche i vescovi del Paese sono intervenuti sulla strage di Parigi, in cui è coinvolto un terrorista di origini algerine. «Vivendo tra i musulmani – scrivono i tre prelati, mons. Paul Desfarges, vescovo di Constantine e amministratore apostolico di Algeri, mons. Claude Rault, vescovo di Laghouat-Ghardaia e mons. Jean Paul Vesco, vescovo di Orano – siamo testimoni dalla loro condanna e della loro profonda umiliazione nel sapere che questi atti sono commessi in nome dell’islam. Niente può giustificare questo massacro. La rivendicazione di questo orrore perpetrato da un’organizzazione terrorista ben conosciuta nasconde pretesti religiosi assolutamente ingiustificabili. Insieme alle condoglianze esprimiamo anche il timore di vedere rafforzarsi sentimenti xenofobi e atteggiamenti anti-musulmani che gravano pesantemente sui fedeli dell’islam. Speriamo che questi atti innominabili non diano ragione a coloro che sanno servirsene per instillare l’odio». Per questo, i vescovi algerini riaffermano il desiderio di mostrare che «la fratellanza è possibile e che le nostre differenze non impediscono la comunione dei cuori e degli spiriti».
È quello che auspica anche un amico musulmano di padre Lassausse: «Attraverso immensa solidarietà, saggezza senza ombre, infinita benevolenza, tutti, in piedi e uniti, dobbiamo ricucire l’equilibrio tra ragione ed emozioni. Per placare il lutto, accompagnare le famiglie, difendere il pensiero e la libertà di credere, in un disegno celeste di ritrovare la quiete della nostra casa comune. Insh’allah!».