#FreeBobiWine! La campagna social che ha vinto in Uganda

#FreeBobiWine! La campagna social che ha vinto in Uganda

Dopo due settimane di detenzione, è stato liberato su cauzione Bobi Wine, rapper ugandese, deputato e principale oppositore del presidente Yoweri Museveni. Ad aiutarlo l’hashtag #FreeBobiWine che ha scatenato una campagna social alimentata dai giovani (che sono la stragrande maggioranza del Paese) e che ha messo alle strette il presidente

 

Non hanno avuto problemi a trovare l’inno del proprio movimento, gli ugandesi che in queste settimane – sui social prima e in piazza poi – hanno dato vita alla protesta #FreeBobiWine per chiedere la scarcerazione (ottenuta poche ore fa) dell’ex rapper made in Uganda, eletto deputato in una lista indipendente nel 2017 e oggi volto di punta dell’opposizione al presidente Yoweri Museveni, al potere dal 1986.

È bastato infatti cercare nei ritornelli di vecchi album per ritrovare il grido «We’re fighting for freedom» che ha fatto da filo rosso alla protesta. Proprio «free», libero, è diventato infatti l’epiteto che gli ugandesi – il 75 per cento dei quali ha meno di 35 anni – hanno attaccato al nome di Bobi Wine nell’ambiente che è loro più congeniale: i social media. Fin dalle prime ore dopo l’arresto, l’hasthag #FreeBobiWine è diventato virale su Twitter e Instagram. In pochi giorni poi su Facebook sono nati quattro nuovi profili collegati al movimento, mentre oltre sessanta utenti Twitter hanno rinominato il proprio nome con l’hashtag che, in dieci giorni, ha etichettato ben 100mila post.

Tutto è cominciato il 14 agosto quando Robert Kyagulanyi Ssentamu – questo il nome di battesimo di Bobi Wine – è arrivato ad Arua (nel nord-est del Paese) per sostenere il proprio candidato alle elezioni comunali. Trovandosi anche Museveri in città, ci sono stati momenti di tensione tra i due schieramenti. Wine è stato arrestato insieme ad altre 31 persone con l’accusa di attentato al presidente, incitamento alla violenza e possesso illegale di armi da fuoco mentre il suo autista è stato ucciso dalla polizia che aveva sparato sui manifestanti. Proprio durante la detenzione del cantante-deputato, è nato #FreeBobiWine: un collettore della rete che, tra le altre cose, ha avuto il merito di collezionare i filmati che raffigurano il rapper di fronte alla corte marziale di Gulu in pessime condizioni di salute, dovute evidentemente al periodo di reclusione. Proprio grazie a quei video, le parole del presidente che definivano «false» le notizie di maltrattamenti e percosse sul detenuto denunciate dai familiari, sono sembrate al mondo una debole difesa.

L’opposizione nata e cresciuta online intorno alla figura di Wine si poi mostrata in carne ed ossa il 20 e il 21 agosto in una serie di manifestazioni tenutesi a Kampala che sono state represse dalle forze dell’ordine. Ciononostante, più delle proteste offline è la piazza virtuale a turbare il presidente Museveni, il quale – non a caso – in luglio ha introdotto una tassa giornaliera per l’uso di Whatsapp, Facebook e Twitter, da lui indicati come strumenti utili solo al «gossip».

La realtà è che in un Paese abitato in gran parte da giovanissimi, i social diventano uno specchio quasi perfetto della nazione, in cui è importantissimo mantenere il consenso. Non da ultimo, proprio grazie alla vicenda Wine, Museveni si è reso conto della portata travolgente dei media digitali che in pochi giorni hanno portato il rapper incarcerato alla popolarità mondiale, facendo scomodare artisti del calibro di Chris Martin e Adam Clayton degli U2, politici dagli Stati Uniti all’Unione Europea. Tanto che la folla (inaspettata) di volti noti ha “costretto” il presidente ugandese a concedere all’artista la libertà previo pagamento di una cauzione che è stata saldata proprio poche ore fa.

Oggi su Bobi Wine pende ancora l’accusa di tradimento per la quale il deputato verrà processato il prossimo 30 agosto. Nel frattempo, però, il movimento #FreeBobiWine esulta facendosi beffa del del presidente a colpi di meme e gif da sberleffo, come da migliore galateo social.