In seguito allo scoppio del conflitto in Ucraina, l’Europa cerca alternative alla Russia per soddisfare il suo fabbisogno energetico. E lo fa guardando a Sud
Ecco qui tre domande su riserve, produzione e forniture di gas africano per provare a delineare qualche scenario futuro. In cui l’Africa potrebbe giovare un ruolo centrale. Anche se restano molte incognite…
Il continente ha riserve importanti?
Sì. Qui ci sono alcuni tra i più profondi giacimenti di gas al mondo. Delle riserve potenziali subsahariane circa il 60% si trova nelle acque profonde: il Paese più ricco è il Mozambico (con il 52% delle risorse recuperabili) seguito dall’area marittima Senegal-Mauritania (20%) e dalla Tanzania (12%). Ma quantità notevoli esistono anche in Gabon, Nigeria, Sudafrica, mentre a nord del Sahara protagonisti sono Egitto e Algeria, con cui l’Italia ha appena siglato un accordo per una fornitura aggiuntiva (9 miliardi di metri cubi in più dei 21 miliardi del 2021).
La produzione africana aumenterà?
Secondo un recente studio di Rystad Energy, società di ricerca con sede a Oslo, entro il 2030 la produzione di gas naturale dall’Africa subsahariana è destinata a raddoppiare, spinta dagli sviluppi in acque profonde. Alla luce dei recenti eventi geopolitici, la proiezione potrebbe essere persino rivista al rialzo. Prospettive interessanti riguardano poi il potenziale produttivo di gas naturale liquefatto (Gnl), nuova fonte di energia meno inquinante il cui mercato è in piena espansione: attualmente sono attivi impianti di liquefazione in Egitto, Nigeria, Algeria, Angola e Guinea Equatoriale.
Le forniture potrebbero sostituire quelle russe?
Non a breve termine. Condotti e tubature mancano o sono insufficienti e non sarà facile attrarre ingenti capitali per realizzare infrastrutture volte all’esportazione, anche per ragioni di sicurezza. Per esempio, la provincia mozambicana di Cabo Delgado, ricca di gas, è flagellata da attacchi jihadisti, mentre il gasdotto transahariano che dovrebbe collegare la Nigeria all’Europa attraverso Algeria e Niger (per cui i Paesi coinvolti hanno appena siglato un protocollo d’intesa) attraversa aree interessate da diversi conflitti e ribellioni. E sebbene l’Eni stia intensificando i lavori su impianti di condensazione del gas in Egitto, Congo, Angola, Nigeria e Mozambico, il rischio è che l’avvio di progetti potenzialmente in grado di scatenare forti interessi non faccia che aumentare l’instabilità di aree già martoriate, vanificando così le prospettive di sviluppo per la popolazione