L’ospedale cattolico di Bor si appresta a diventare un Covid Hospital. Ma per questo serve… una camera mortuaria. È una sfida difficile e complessa, che si gioca tra la vita e la morte, quella che i missionari del Pime stanno affrontando in Guinea Bissau
«L’Ospedale nazionale è completamente pieno di pazienti e non ha ossigeno! Il loro macchinario è guasto. Anche quello dell’ospedale francescano di Cumura ha un’avaria. La clinica di Madrugada produce ossigeno, ma è insufficiente. Mentre l’opedale di Bor ha una macchina funzionante, ma non può produrlo per altri». A diversi mesi dall’esplosione della pandemia di Coronavirus, la Guinea Bissau continua ad arrancare, come ci testimonia padre Davide Sciocco, missionario del Pime e Coordinatore generale della Cellula di emergenza Covid della Caritas di Bissau.
«Un’emergenza difficilissima da gestire in un Paese così povero e arretrato come questo – rincara un altro missionario del Pime, padre Alberto Zamberletti che è pure medico -. Manca tutto: strutture, macchinari, medicinali, e l’instabilità politica rende qualsiasi cosa più precaria e inaffidabile. E, come se non bastasse, la mancanza di istruzione favorisce la diffusione di pregiudizi o false notizie: molta gente, infatti, nonostante le campagne di sensibilizzazione, continua a pensare che il Coronavirus non esiste, che è la “malattia dei bianchi”. O che i politici se la siano inventata per ottenere fondi dall’estero».
Stando ai numeri, l’epidemia di Coronavirus avrebbe colpito solo marginalmente la Guinea Bissau così come tutta l’Africa. «Purtroppo però – analizza padre Zamberletti – la disponibilità di test è molto limitata e dunque è impossibile sapere esattamente l’entità della diffusione del virus. E anche chi ha sintomi riferibili al Coronavirus spesso non va in ospedale o perché non ha soldi o perché ha paura di infettarsi o perché teme di essere messo in quarantena: il che significherebbe non poter lavorare e, dunque, non poter sopravvivere».
Si gioca lungo una linea sottile tra emergenza sanitaria ed emergenza umanitaria la lotta contro il Covid-19 in Guinea Bissau. E la paura di morire di fame è più grande di quella di ammalarsi.
«Già a inizio marzo – conferma padre Alberto – molte famiglie nell’interno del Paese mangiavano una sola volta al giorno e quasi solo riso, senza vitamine o proteine. E la prospettiva è molto inquietante perché quest’anno rischiano di non poter contare sulle entrate derivanti dalla vendita dell’anacardo, che normalmente garantisce la sopravvivenza di una buona fetta della popolazione. Ma con la chiusura delle frontiere i compratori stranieri non sono arrivati».
Un aiuto per la clinica Bor
La Chiesa locale e il Pime si sono attivati sin dall’inizio della pandemia per intervenire efficacemente e tempestivamente. Ma con grandissime difficoltà. Padre Sciocco, con tutto lo staff di Radio Sol Mansi, ha promosso campagne di sensibilizzazione e prevenzione, mentre padre Zamberletti ha procurato manifesti, volantini e altro materiale per informare e allertare la popolazione. Sono state inoltre distribuite 30 mila mascherine prodotte da sarti locali in tutte le missioni del Paese.
Tutto questo però non basta. Occorre anche curare. Ma la sanità pubblica è quasi inesistente nel Paese, con l’eccezione della capitale Bissau, dove però l’ospedale nazionale non è già più in grado di farsi carico dei pazienti. E così la Caritas di Bissau ha firmato un accordo con il Ministero della Salute, dando la disponibilità dei due ospedali della diocesi, quello pediatrico di Bor e quello francescano di Cumura. «La pressione è grande – conferma padre Davide – perché questi due ospedali devono ricevere gli ammalati più gravi».
«Come Caritas, abbiamo messo a punto un Piano di risposta al Coronavirus – continua – per dare il nostro contributo insieme allo Stato e ai vari organismi internazionali e locali che si stanno battendo in questa emergenza, ma mancano molte cose perché ci siano le condizioni per ricevere i malati e curarli degnamente, altrimenti si rischia di infettare tutto il personale e di provocare la morte di molti pazienti.
L’ospedale di Bor è quello che si trova attualmente nella situazione più critica. Per alcune settimane, infatti, è stato costretto a chiudere a causa della positività di buona parte del personale e ora si sta preparando a riaprire come Covid Hospital. Questo però significa che non potrà disporre di nessun entrata derivante dalle normali attività; d’altro canto, fatica a ricevere gli aiuti tradizionali dall’Italia, vista la difficile situazione che si sta vivendo anche nel nostro Paese. Anche l’ospedale di Cumura si trova in una situazione gravissima, perché già ora non è in grado di pagare gli stipendi del personale e il cibo.
Sia il governo che le grandi agenzie come Oms, Unicef, Pam e Banca Mondiale stanno facendo molta fatica a mettere a disposizione i dispositivi di protezione per il personale e a fornire aiuti economici. Per questo, padre Davide ha avanzato una richiesta specifica a Fondazione Pime Onlus, nell’ambito della Campagna “Emergenza Coronavirus nel mondo”, per alcuni lavori estremamente importanti e urgenti per la clinica Bor. «Si tratta di concludere la realizzazione di una nuova fossa biologica – spiega il missionario – e di realizzare una camera mortuaria. Sono due necessità assolutamente urgenti, dovendo ricevere i malati più gravi di Covid-19. L’esperienza italiana ha messo purtroppo in evidenza il problema dei luoghi dove ospitare le salme in attesa del funerale. Nelle epidemie è fondamentale non lasciarle in ambienti che possono provocare un aumento della propagazione del virus. Senza la camera mortuaria non si potranno ricevere i malati gravi di Covid-19. Per questo i lavori sono molto urgenti».
Continua l’impegno di Radio Sol Mansi
Intanto, prosegue anche l’attività di informazione, formazione e prevenzione realizzata dalla radio cattolica nazionale Radio Sol Mansi, la più ascoltata del Paese. «Attraverso i suoi programmi, la radio incentiva le persone a una maggiore responsabilità civile, specialmente in questo tempo così critico, e alla partecipazione attiva allo sviluppo sociale dei propri villaggi», racconta suor Alessandra Bonfanti, delle missionarie dell’Immacolata che si fa carico di alcuni programmi.
«Attraverso il sostegno della Fondazione Pime – precisa – vorremmo consolidare il ruolo dell’emittente nel suo servizio di formazione con due nuovi programmi radiofonici pensati specialmente per i giovani: “Agir na Etica”, in tema di etica nel mondo del lavoro, economia e politica, e “Renascer Jovem”, incentrato sulla formazione della coscienza morale degli adolescenti». Grazie ai contributi raccolti con il Progetto K704 verranno inoltre acquistate nuove attrezzature per il funzionamento stabile delle emissioni radiofoniche.
È possibile sostenere il progetto per l’ospedale Bor, facendo una donazione all’apposito Fondo creato del Pime per l’Emergenza coronavirus nel mondo