Un’elezione, due presidenti. Anzi, no. Uno solo, ma per un solo giorno. Cipriano Cassamá, speaker del Parlamento, dopo aver assunto la presidenza ad interim il primo marzo, ha dato le dimissioni il giorno dopo per minacce di morte
È l’ennesimo caos istituzionale quello che sta travolgendo la Guinea Bissau, piccolo e tormentato Paese dell’Africa occidentale, la cui storia è disseminata di continui colpi di Stato, governi traballanti e inefficaci, strapotere dell’esercito e delle narco-mafie. E a pagare le conseguenze di una classe politica inadeguata e irresponsabile è l’intera popolazione del Paese, meno di due milioni di abitanti tra i più poveri al mondo.
Oggi, dopo una travagliata elezione, un controverso risultato, due candidati che si sono proclamati entrambi presidenti e lo speaker del Parlamento che lo è diventato ad interim, il Paese si ritrova punto e a capo, senza una guida.
Ma andiamo con ordine. Lo scorso 29 dicembre si sono tenute le elezioni presidenziali in Guinea Bissau, che avrebbero dovuto mettere fine a un lungo periodo di instabilità che si protraeva dall’agosto del 2015. I risultati, proclamati dalla Commissione elettorale nazionale il 17 gennaio e successivamente confermati il 21 e il 4 di febbraio, hanno dato la vittoria con il 53,55% delle preferenze a Umaro Cissoko Embaló, del Movimento para a Alternância Democrática (MADEM-G-15). Lo sfidante, Domingos Simoes Pereira del partito Partido Africano para a Independência da Guiné e Cabo Verde (PAIGC), ha ottenuto il 46,45% dei voti e ha fatto ricorso presso il Supremo Tribunal de Justiça.
Ma prima ancora che venisse emesso il verdetto, Umaro Sissoco Embaló ha giurato come capo di Stato in un grande hotel di Bissau ed è stato accompagnato, con tanto di fascia, al palazzo presidenziale nel centro di Bissau, dal capo di Stato uscente, José Mário Vaz, che nel 2015 aveva “licenziato” Pereira, leader del suo stesso partito. Secondo il primo ministro Aristides Gomes (pure lui del PAIGC), tuttavia, questa auto-investitura equivarrebbe a un colpo di Stato.
Nel frattempo, il presidente del Parlamento Cassamá, che avrebbe dovuto investire ufficialmente Embaló nel corso di una sessione plenaria dell’Assemblea, si è detto impossibilitato a farlo in assenza di una convalida definitiva dei risultati elettorali. E lui stesso, investito dalla maggioranza parlamentare controllata dal PAIGC, ha assunto, lunedì primo marzo, il ruolo di Presidente ad interim, salvo dare le dimissioni il giorno dopo per aver ricevuto non meglio specificate minacce di morte: «La mia vita è in pericolo – ha dichiarato Cassamá -; la vita della mia famiglia è in pericolo, la vita di questa nazione è in pericolo. Non posso accettarlo, ecco perché ho preso questa decisione».
Anche il primo ministro Aristides Gomes ha denunciato l’incursione nella sua abitazione privata di alcuni ufficiali dell’esercito: «Hanno minacciato di uccidermi se non avessi dato le dimissioni». Nel frattempo, l’autoproclamato presidente Embaló ha nominato un suo primo ministro e un governo che però non avrebbero ufficialmente alcuna legittimità.
E così oggi la Guinea Bissau si ritrova di nuovo in una pericolosa situazione di vuoto di potere, mentre le strade che circondano il palazzo presidenziale, i ministeri e le dimore dei leader politici sono piene di militari. Che, alla fine, in Guinea Bissau, sono sempre quelli che comandano per davvero.