Un viaggio alla scoperta delle iniziative dei missionari del Pime e delle Missionarie dell’Immacolata nel piccolo Paese africano, portate avanti con l’aiuto dei sostenitori e le adozioni a distanza
L’aereo proveniente da Casablanca atterra nella capitale Bissau, una delle città più povere dell’Africa, nel cuore della notte del 4 novembre. In venti giorni devo vedere tutte le missioni e relativi progetti di sviluppo e di sostegno a distanza del Pime in Guinea Bissau. Nel pomeriggio si parte subito per le isole Bijagós. Cinque ore di navigazione con padre Luigi Scantamburlo. Le isole sono la sua patria dal 1975. Da alcuni anni, però, si concentra su un solo obiettivo: istruzione per tutti come strumento essenziale di sviluppo. Sono circa 400 gli studenti nelle sue scuole bilingui, dove l’insegnamento avviene nella lingua locale che solo verso la quinta elementare è integrata in modo significativo con il portoghese ufficiale. Un’idea promossa negli anni passati anche da padre Roberto Donghi, anch’egli alle Bijagós, e ancora prima a Catió, nel Sud del Paese, ora sostituito da padre Fabio Motta.
Le cose vanno bene perché padre Fabio progetta nuove aule nei villaggi dove la missione porta avanti le scuole “autogestite”, cioè direttamente in mano ai leader di villaggio, che monitorano la frequenza degli studenti e si relazionano con le famiglie. Con il contributo del governo (per gli insegnanti) e della missione (per la costruzione delle aule, il sostegno agli studenti e un’integrazione al misero stipendio dei maestri).
Anche le Missionarie dell’Immacolata (Pime) gestiscono scuole di questo tipo nei villaggi attorno a Mansôa. Precisamente a M’Panquinha troviamo gli studenti con le loro belle scarpe da tennis. Sono quelle della campagna Run4Dignity dell’anno scorso al Centro Pime di Milano. Molti ragazzi vengono a scuola qui da Bissorã in bicicletta ed è buona cosa per loro non dover pedalare e… frenare a piedi nudi. Ovunque si ha conferma di quanto i missionari abbiano fatto e continuino a fare per i bambini e gli studenti. Compresi quelli disabili, accolti a Casa Bambaram a Bissau, o i gemelli: due categorie a rischio in Guinea Bissau a causa delle credenze ancestrali negli iran (spiriti cattivi nel caso dei disabili) o per il costume di allattare e aiutare a sopravvivere solo uno dei gemelli.
A Bafatá, la seconda diocesi del Paese retta da monsignor Pedro Zilli, brasiliano del Pime, e un’oretta di macchina più avanti, a Gabú, visitiamo le uniche due Casa da mais (Casa delle mamme) della Guinea Bissau, dove le partorienti con gravidanza a rischio giungono dai villaggi più remoti per ricevere la maggiore assistenza possibile in vista del parto. Padre Alberto Zamberletti, superiore del Pime per la Guinea Bissau, che è anche medico e ha lavorato in questa zona per vent’anni da giovane missionario, dice che sono tra le iniziative più belle della Chiesa cattolica, che nel Paese è piccola, ma apprezzata per due motivi: il lavoro sociale di promozione umana e l’impegno per la riconciliazione nazionale dei vescovi di Bissau (prima l’italiano Settimio Ferrazzetta, ora il locale José Câmnate) nei momenti di tensione politica o addirittura di guerra civile come nel 1998.
«Una voce di pace per la Guinea Bissau» è anche il biglietto da visita e lo slogan di Radio Sol Mansi, che trasmette su tutto il territorio nazionale. È una creatura di padre Davide Sciocco del Pime, ma ora è gestita da personale locale sempre un po’ con il sostegno del Pime e la presenza di suor Sandra Bonfanti, missionaria dell’Immacolata, come vicedirettrice.
«Mi raccomando la Clinica Bor», mi ricorda padre Zamberletti prima di ripartire per Milano. È l’ospedale pediatrico São José em Bor di Bissau, creato dal rimpianto padre Ermanno Battisti, scomparso il 3 gennaio 2015, che ora si regge sull’impegno eroico della dottoressa Pina Torcaso Zordan (pensionata italiana) e del dottor Dionisio Cumba (chirurgo pediatra guineano laureatosi in Italia).
Tre realtà lombarde di volontariato con sede a Rho, Vigevano e Brescia sostengono la struttura insieme al Pime. Un ospedale per i bambini, che, nella povertà e nell’arretratezza della Guinea Bissau, non può esimersi dal curare spesso anche gli adulti. Compresi i missionari.