Durante il viaggio che si apre mercoledì papa Francesco renderà omaggio ai martiri di Namugongo, i primi santi africani dell’era moderna, canonizzati da Paolo VI nel 1964. Charles Lwanga e i suoi compagni, uccisi alla fine dell’Ottocento, continuano a rappresentare un’ispirazione per i cattolici ugandesi. Padre Maurizio Balducci: «La loro vicenda ricorda l’importanza del laicato nella Chiesa»
“I martiri dell’Uganda sono il simbolo di una storia di fede che continua”. Nel paese che tra pochi giorni attende la visita del Papa, padre Maurizio Balducci, missionario comboniano, ha passato 18 anni: a Mondo e Missione testimonia come ancora oggi la fede dei cattolici debba molto all’esempio di quei 22 uomini uccisi tra il 1885 e il 1887, la cui storia ricorda da vicino quella dei cristiani dei primi secoli.
Charles Lwanga e i suoi compagni (tra cui Matthias Mulumba e il giovane Kizito, a cui molte parrocchie sono intitolate in tutta l’Africa) erano tutti al servizio di Mwanga, sovrano dei Baganda, che abitavano il sud del paese. Battezzati per la maggior parte dal missionario dei Padri Bianchi Siméon Lourdel, testimoniarono la loro fede di fronte al sovrano, rifiutandosi di abbandonarla e furono per questo messi a morte, per la maggior parte sul rogo, nello stesso luogo dove oggi sorge il santuario di Namugongo, a loro dedicato e che anche Francesco visiterà. Con loro, anche 23 anglicani, che lo stesso Paolo VI ricordò, nel 1964, durante la messa di canonizzazione per Charles Lwanga e gli altri servitori del re.
Con l’esecuzione il sovrano credeva probabilmente di scoraggiare i cristiani, che ne avevano criticato in passato le azioni, ma l’effetto fu contrario. “Mwanga credeva che uccisi quei testimoni, tutto finisse – spiega padre Balducci – ma la Storia mostra che dopo il rogo una folla di persone cominciò a chiedere di essere battezzata, nonostante gli stessi missionari li mettessero in guardia sulle sofferenze che avrebbero potuto attenderli”. Ancora oggi, aggiunge “Namugongo è il luogo per eccellenza dove ci si riconosce ugandesi e le differenze, tribali e non solo, vengono annullate: lo stesso santuario, che geograficamente si trova nella diocesi di Kampala, non ne fa parte, perché è affidato all’intera Conferenza episcopale”. A poca distanza dal memoriale cattolico, in più, si trova quello anglicano: “Al di là delle differenze sul culto dei santi – riconosce padre Balducci – aiuta certamente l’unità”, tra le due confessioni, i cui rapporti furono tesi durante il colonialismo, a causa della politica applicata dai dominatori inglesi.
È un altro però l’elemento che il comboniano tiene di più a sottolineare: “I martiri erano tutti laici”, segno dell’importanza che questa componente della Chiesa ha avuto da sempre per il paese. A testimoniarlo non è solo la vicenda di Jildo e Daudi, altri due giovanissimi martiri, uccisi nel 1918 a Paimol, nel nord del paese, e beatificati da Giovanni Paolo II nel 2002, ma anche il ruolo del laicato cattolico oggi. “È la vera forza della Chiesa non solo ugandese, ma africana: con il loro impegno al servizio della comunità, con il loro entusiasmo, i laici dicono che questa Chiesa è la loro”.