I vescovi sudafricani sostengono la richiesta degli studenti universitari di avere lezioni in altre lingue rispetto all’Afrikaans e la Conferenza episcopale del Sudafrica ha scritto una lettera pastorale in cui fa appello a vivere il Giubileo della Misericordia come occasione per superare il razzismo, che resta un problema anche dopo il crollo dell’Apartheid.
“C’è un razzismo istituzionale in tutto il Paese, che è ancora dominato dalla cultura dei bianchi”. Ha usato parole forti William Slattery, l’arcivescovo di Pretoria (nella foto insieme a Papa Francesco) e la sua non è un’affermazione imprudente e isolata: in questi mesi la chiesa sudafricana ha sostenuto apertamente alcune delle ragioni delle proteste universitarie che hanno interessato il Paese. Nei più importanti atenei sudafricani, fra i quali l’Università di Pretoria e l’Università di Città del Capo, gli studenti sono insorti contro l’aumento delle tasse previsto per il 2016 e hanno chiesto che le lezioni siano tenute anche in altre lingue e non solo in Afrikaans, la lingua dei colonizzatori tedeschi e olandesi che viene identificata con l’apartheid.
La Conferenza episcopale del Sudafrica ha preso posizione rispetto alle proteste con un comunicato a favore degli studenti, invitando al dialogo e specificando per bocca di Abel Gabuza (nella foto a destra), Vescovo di Kimbarley e Presidente della Commissione Giustizia e Pace che: “Dialogo sincero significa essere chiari e trasparenti sulla tempistica con cui l’università e il governo rispondono alle domande degli studenti, compresa la richiesta un’istruzione superiore gratuita” e che “Dialogo onesto significa avere politiche chiare circa la trasformazione delle nostre università per porre fine al razzismo e ai modelli coloniali su come era concepita l’università“.
Pur condannando gli episodi di violenza nei quali la protesta è degenerata in alcuni atenei i vescovi hanno detto che le ribellioni sono frutto di un sentimento di ineguaglianza vissuto dagli studenti. L’obiezione circa la lingua dell’insegnamento, l’Afrikaans, “ha molto a che fare con la sensazione tra i sudafricani che le loro lingue siano state emarginate” ha detto ancora l’arcivescovo Slattery. E ha aggiunto che l’Apartheid, il regime di segregazione razziale ufficialmente finito nel 1994, “ha avuto successo nel separare la popolazione sudafricana dal punto di vista razziale, economico, geografico e linguistico. L’integrazione sta avvenendo a poco a poco nelle comunità di fede e in altri gruppi, ma il passo è troppo lento”. “Sebbene l’ineguaglianza sia sentita in modo acuto nelle università e qui sia stata espressa con forza, è presente in tutto il Sudafrica ed è necessario che sia risolta in tutto il Paese”.
I vescovi sudafricani hanno dimostrato unità nel dire che il problema del razzismo permane in Sudafrica. La Conferenza episcopale del Sudafrica ha preso un’ulteriore posizione forte pochi giorni fa, il 7 febbraio, con la lettera pastorale intitolata “Appello a superare il razzismo” in cui si parla del Giubileo di Misericordia come occasione di conversione dal razzismo e di impegno per la “guarigione” delle ferite ancora aperte nel Paese.
Lo Spirito Santo “ci chiama a costruire relazioni di uguaglianza, dignità e mutuo rispetto. E’ necessario il dialogo rispettoso e ragionevole, in questo modo possiamo aprirci alla misericordia di Dio” scrivono i vescovi.
Nella lettera la chiesa sudafricana si impegna anche a “riconoscere la presenza di atteggiamenti razziali” al suo interno, “sia prima che durante il periodo dell’apartheid, sia in questi anni di democrazia”. “In umiltà – ribadisce la Sacbc – noi, in quanto Pastori, ci prostriamo davanti a Dio ed a tutti coloro che hanno sofferto, chiedendo perdono per la complicità che la Chiesa ha avuto, nella storia, con il razzismo”. Implorando, quindi, la misericordia di Dio, i presuli si appellano “a tutti i fedeli ed a tutti gli uomini di buona volontà affinché si faccia il possibile per affrontare il problema del razzismo nella società e nella Chiesa”.
Dal punto di vista concreto, la lettera annuncia che verranno avviati “gruppi di riflessione nella diocesi e nelle parrocchie, così da coinvolgere tutti i fedeli” nell’analisi del problema. Non solo: la Chiesa sudafricana incoraggia a promuovere la conoscenza delle diversità culturali espresse anche a livello liturgico e pastorale: “L’esperienza del Vangelo – spiegano i vescovi – ci chiede di gioire davanti alla diversità delle razze, di apprezzarla in modo più entusiasta e di diventare culturalmente più inclusivi”, perché “il corpo di Cristo si arricchisce attraverso i contributi sociali, culturali ed economici di ogni gruppo etnico”.
Nella prospettiva di costruire “un Sudafrica libero dal razzismo”, i vescovi esortano i fedeli a “vivere una vita degna del Vangelo”, evitando di “amare solo chi è uguale a noi”. “Amando solo coloro con i quali condividiamo lo stesso background razziale o etnico, falliamo nell’adempiere l’appello d’amore del Vangelo” scrivono i vescovi.