Sono i più vulnerabili e ora non possono neppure contare sul Centro Edimar, fondato da padre Maurizio Bezzi del Pime, che ha dovuto chiudere a causa della pandemia. Ma gli operatori continuano a sostenerli e accompagnarli in strada, anche in questo momento così difficile
«La situazione a Yaoundé è davvero problematica. E i ragazzi di strada sono a rischio non solo per il virus: la pandemia, per loro come per molti altri, va ad aggiungersi a condizioni di estrema povertà e precarietà».
Padre Maurizio Bezzi, missionario del Pime, si è occupato per una trentina d’anni degli enfants de la rue di Yaoundé, la capitale del Camerun. Che, come tutta l’Africa, è stata investita dall’epidemia di Coronavirus. I dati, per quanto sottostimati a causa dei pochi tamponi, sono comunque allarmanti: dopo i Paesi del Nordafrica (Egitto, Algeria e Marocco) e il Sudafrica, che sono i più colpiti del continente, segue proprio il Camerun. E specialmente la sua capitale, Yaoundé, una città di quasi quattro milioni di abitanti, molti dei quali vivono in condizioni di estrema povertà. Gli ultimi tra gli ultimi sono i ragazzi di strada, che sono migliaia e non hanno nemmeno una baracca dove rifugiarsi. Per loro, come del resto per molti altri che vivono in situazioni abitative molto precarie, diventa estremamente difficile se non impossibile rispettare i divieti imposti dall’emergenza Covid-19, come quello di non uscire o di evitare spostamenti e assembramenti.
E oggi molti di coloro che frequentavano il Centro Edimar, fondato da padre Maurizio, non hanno più neppure la possibilità di recarsi in questo luogo sicuro, per un aiuto e un conforto, per farsi una doccia o per studiare. «Siamo stati obbligati a chiudere il Centro, in ottemperanza alle disposizioni governative – dice il missionario -, ma con i nostri educatori cerchiamo comunque di seguire i ragazzi, specialmente i più piccoli, andando in strada o nei luoghi in cui si ritrovano. Quando è possibile, li orientiamo a tornare al villaggio o a raggiungere qualche parente».
Il Centro si trova proprio di fronte alla stazione dei treni di Yaoundé, in un punto strategico e molto accessibile; da quando è stato aperto, è sempre stato pieno di vita e di attività. Sino a qualche settimana fa, sembrava impossibile vederlo chiuso e vuoto.
«I ragazzi che venivano al Centro erano in media un centinaio al giorno – continua il missionario -; potevano partecipare alle molte attività e veniva offerto loro anche molto spazio per il dialogo personale e di gruppo. Un modo per farli riflettere su loro stessi e sul loro futuro. E per accompagnarli, soprattutto attraverso l’amicizia, a cambiare vita».
«Non appena il primo ministro camerunese ha annunciato le misure di contenimento del Coronavirus – spiega Mireille Yoga, attuale responsabile del Centro Edimar (nella foto)- ci siamo subito attivati per sensibilizzare i ragazzi di strada affinché capissero la gravità e l’urgenza di quanto stava accadendo. Abbiamo cercato di aprire loro gli occhi perché vedessero cosa significa affrontare una cosa simile, in un Paese dove non ci sono strutture in grado di prendersi cura dei malati».
Per molti di loro è stata dura apprendere che anche il Centro – che rappresentava spesso l’unico punto di riferimento – sarebbe stato chiuso. «Ci siamo confrontati con i ragazzi – continua Mireille – e ci siamo detti che potevamo valutare insieme la possibilità, per chi lo desiderava e ne aveva la possibilità, di tornare a casa, al villaggio o da qualche familiare. Molti hanno accettato questa proposta e nelle prime due settimane di lockdown ne abbiamo fatti tornare molti». Cinque di loro, invece, sono attualmente ospitati in una casa in campagna, dove fanno piccoli lavoretti agricoli e guadagnano qualche soldo con questa attività.
In queste settimane, molti si sono tenuti in contatto. Chiamano Mireille e gli altri educatori e raccontano della loro vita e delle difficoltà che incontrano. Quelli che sono al villaggio sperimentano la difficoltà di raggranellare anche pochi centesimi al giorno. Qualcuno è frustrato e vorrebbe tornare a Yaoundé. «Noi li supplichiamo di restare – dice Mireille -, la situazione in capitale è critica. Diciamo loro che devono attendere che questo mostro orribile, che è capace di mangiare tante persone, se ne vada via».
Poi ci sono tuti quelli che erano o che sono tornati in strada. Sono i più “difficili” per certi versi, perché spesso fanno uso di droghe; ma sono anche i più vulnerabili perché sono esposti a tutto. «Con gli operatori di Edimar – continua Mireille – siamo tornati più frequentemente in strada o nei luoghi in cui si ritrovano. Anche con loro cerchiamo di fare sensibilizzazione perché si proteggano dal contagio».
Infine, ci sono gli ex ragazzi e ragazze di strada che sono ormai cresciuti e hanno dei figli, ma continuano a vivere in condizioni spesso disumane. Mireille e gli operatori del Centro Edimar cercano di raggiungere anche loro e di portare un piccolo aiuto, soprattutto alimentare, perché i prezzi del cibo, in questa fare di emergenza sanitaria e di difficoltà nei trasporti, sono cresciuti a dismisura.
«Vivono in condizioni molto difficili – dice Mireille -. Chiedere a loro di rimanere a casa non è possibile. Non perché non vogliano, ma perché non possono: devono andare a fare qualche lavoretto o a vendere qualcosa al mercato altrimenti non potrebbero sopravvivere. Abbiano dato loro dei sacchetti di riso e continuiamo a seguirli soprattutto per un supporto alimentare. E poi abbiamo fatto insieme un prodotto per lavare le mani e li abbiamo sensibilizzati sulla necessità di portare la mascherina. Per quelli che si ammalano è veramente complicato perché gli ospedali sono pieni ed è impossibile curarsi. È tutto molto difficile. Per tutti. Speriamo davvero che questo mostro se ne vada al più presto».
La Fondazione Pime Onlus ha aperto una raccolta fondi d’emergenza per interventi di lotta al Covid19 nei Paesi dove sono presenti i missionari.Per donare, clicca qui: Emergenza Coronavirus nel mondo