Da Bangui la testimonianza di suor Rosaria Donadoni, missionaria comboniana, dopo le nuove violenze che in questi giorni hanno accompagnato le elezioni: «Questo Paese, situato nel centro esatto dell’Africa, dovrebbe far pulsare il cuore di tutto il continente, ma non ha abbastanza forza. Aiutateci affinché non si perda la luce che c’è»
In un crescendo di tensioni e scontri armati, il 27 dicembre la Repubblica Centrafricana è andata alle urne per le elezioni presidenziali e legislative. Dopo l’esclusione, da parte della Corte costituzionale, del candidato François Bozizé, principale avversario del presidente uscente, Faustin-Archange Touadéra, i ribelli della Coalizione dei patrioti per il cambiamento (CPC) hanno intensificato i propri attacchi, fino ad occupare la città di Bambari.
«Si teme una marcia su Bangui, la capitale, dove mi trovo: l’obiettivo di Bozizé, appoggiato dai ribelli della CPC, è il colpo di stato – racconta suor Rosaria Donadoni, missionaria comboniana, nella Repubblica Centrafricana dal 1991 -. Nella capitale la gente è riuscita ancora a votare, ma in provincia i ribelli hanno distrutto i seggi. La città di Bangui è completamente militarizzata. La sicurezza è aumentata: ci sono i caschi blu dell’Onu, in assetto difensivo, e tutte le vie d’accesso alla capitale sono presidiate. Inoltre, la Russia, che ha interesse alle risorse del Paese e appoggia Touadéra, ha inviato istruttori militari per formare l’esercito centrafricano».
Bozizé, 74 anni, era diventato presidente del Paese, tramite un colpo di stato, nel 2003: durante la guerra civile del 2013, fu destituito dai ribelli musulmani della coalizione Séléka. E dal 2016 il presidente del Paese è Touadéra. Su Bozizé, escluso dalle ultime elezioni, grava un mandato di arresto internazionale. «Era scappato all’estero, ma adesso è tornato, pronto per candidarsi – prosegue suor Rosaria, 63 anni, bergamasca di Villa d’Almè -. Nella Repubblica Centrafricana regna l’instabilità: da quando sono qui, ricordo solo un paio d’anni di pace».
Nel 2003, quando Bozizé ha preso il potere, suor Rosaria si trovava nel nord del Paese, impegnata nel campo dell’educazione e della formazione. «Eravamo tre sorelle: una spagnola e due italiane. Era un periodo di tensioni. Siamo state prigioniere nella nostra comunità, senza contatti con l’esterno, per 5 mesi: nessuno sapeva se fossimo vive e morte». Nel 2013, quando i ribelli del gruppo Séléka hanno costretto Bozizé alla fuga, suor Rosaria era nella foresta con i pigmei. «Gli avversari dei Sèlèka, gli Anti-balaka, di presunta matrice cristiana, cercavano i commercianti musulmani per vendicarsi. Ne abbiamo nascosti alcuni nella concessione della parrocchia, altri sono stati presi dagli Anti-balaka e sgozzati: le loro teste sono state poste ai margini delle strade come monito».
Una guerra di religione? «No, è un gioco politico. Nel Paese c’è tanto oro, ci sono i diamanti ad est, c’è l’uranio, ed il petrolio non ancora estratto: la Russia è interessata, ma non è la sola. Nella Repubblica Centrafricana esiste una piattaforma religiosa per il dialogo con i musulmani e con i cristiani non cattolici: un segno di unità e sostegno reciproco per cooperare insieme, perché vivere da fratelli è possibile. il cardinale Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, vuole che la Chiesa sia veicolo di speranza per questo popolo, stanco di guerre civili».
Proprio nella Repubblica Centrafricana, nel novembre 2015, papa Francesco si era recato in visita: in quella occasione, aveva proclamato Bangui come capitale spirituale del mondo, aprendo il Giubileo della misericordia. «Un momento indimenticabile. Il Papa aveva chiesto ai gruppi ribelli di lasciare le loro armi e cercare il cammino dell’amore e del dialogo. È successo per un certo periodo, ma ora è ricominciato tutto di nuovo. Oggi più della metà della Repubblica Centrafricana è in mano a gruppi ribelli, equipaggiati con armi pesanti: sparano sulla folla, nei pressi dei seggi, boicottando le elezioni. Questo Paese, situato nel centro esatto dell’Africa, dovrebbe far pulsare il cuore di tutto il continente, ma non ha abbastanza forza: ha bisogno di essere aiutato; e non solo dal punto di vista economico, data la diffusa povertà, quanto nell’aspetto spirituale, affinché non si perda la luce che c’è. Prego che un domani risplenda un nuovo sole, un arcobaleno sotto cui tutti i centrafricani possano marciare insieme da fratelli»