La denuncia di un documentario danese: una società inglese addetta alla sicurezza delle basi Usa in Iraq recluta per 16 dollari al giorno ex bambini soldato della Sierra Leone. «Diamo loro un’opportunità…»
Per anni la Sierra Leone è stata sinonimo di bambini soldato, nella tragedia della guerra civile che ha insanguinato il Paese. Ed è un’associazione talmente forte che molti sono ancora convinti che i bambini soldato in Sierra Leone ci siano ancora. Non è così. Sia perché il Paese ha provato a voltare pagina, sia perché quei bambini ormai sono cresciuti. Solo che c’è lo stesso qualcuno che ha pensato che quanto hanno «imparato» da piccoli potrebbe tornare utile. In nome della spending review.
La denuncia viene da un documentario appena uscito in Danimarca: si intitola «Il nuovo lavoro dei bambini soldato» ed è firmato dalla giornalista Madd Ellesoe. È un’inchiesta dedicata alla Aegis Defence Services, società con sede in Gran Bretagna che si occupa di sicurezza in oltre 60 Paesi, con commesse miliardarie. Una delle più importanti è quella sulla sicurezza delle basi americane in Iraq, affidata a contractors, il nuovo nome dei mercenari. E dove li recluta la Aegis? Inizialmente si trattava di inglesi, poi – per ridurre i costi – si è passati all’Asia, con il Nepal. Ma adesso è il turno dell’Africa, dove si possono trovare persone disposte ad andare a rischiare la vita in Iraq per 16 dollari al giorno. E sono ben 2.500 gli uomini reclutati in Sierra Leone.
Secondo le testimonianze raccolte da Madd Ellesoe la maggior parte di loro sono ex bambini soldato, che – diventati grandi – si trovano così di nuovo proiettati nel loro passato, semplicemente con una parvenza di legalità. «Non facciamo indagini sulle persone che reclutiamo» si difende la Aegis sul Guardian. E per giustificare la sua linea sostiene che farlo sarebbe discriminatorio, perché priverebbe gli ex bambini soldato di «un’opportunità di lavoro».
«Ho parlato a ex bambini soldato che nel loro passato hanno compiuto azioni terribili: tagliato braccia, mutilato persone… – replica la giornalista danese -. Mi hanno raccontato che vivevano in povertà. Nessuno voleva prendere di nuovo in mano le armi, ma avevano bisogno di un lavoro. Così sono partiti per l’Iraq».
«Secondo la nostra esperienza – aggiunge Dan Collison, dell’ong War Child Uk – i bambini che sono stati reclutati in gruppi armati portano con sé ferite profonde legate a quell’esperienza anche nella vita adulta. È vero che gli ex bambini soldato non dovrebbero essere discriminati nelle loro opportunità lavorative. Tuttavia andare a cercare tra i più poveri e i più vulnerabili i candidati per questo genere di lavoro è un modello imprenditoriale che sfrutta la situazione e potrebbe diffondere un ulteriore trauma».
Leggi qui ulteriori dettagli sulla vicenda sul sito Middle East Eye