A Tozeur, nel Sud della Tunisia, fratel Marco Monti e padre Anand Talluri hanno dato il via alla nuova presenza del Pime in Nordafrica: una piccola missione in mezzo all’islam, tra servizio alla gente e testimonianza silenziosa
«As-salamu alaykum! Labas? Come va?». Camminando per le strade di Tozeur ingiallite dalla sabbia del deserto, che il vento spinge oltre le palme dell’oasi, padre Anand e fratel Marco salutano i bottegai e si fermano a scambiare due parole con il benzinaio, la commessa del supermercato, il fornaio che ormai indovina il prodotto preferito dai due clienti abituali: «Pane arabo tabouna, soffice e ben cotto!».
Del resto, non si tratta più degli stranieri arrivati in città due anni e mezzo fa, di cui si sapeva poco e che sollevavano anche una certa curiosità. Oggi, qui, in molti li conoscono e ne apprezzano l’affabilità e la disponibilità: pure i poliziotti, che a fine turno spesso approfittano di un passaggio sulla loro auto per tornare a casa nei paesi vicini… Un bel passo avanti da quando, poco dopo il loro arrivo, li convocarono in questura per interrogarli a lungo sulle attività che avevano in cantiere. Ora fratel Marco Monti, brianzolo, classe 1964, e il 37enne padre Anand Talluri, indiano dell’Andhra Pradesh, ci ridono su, ma ammettono che gli inizi della missione del Pime in questo Paese dal fragile equilibrio, che oggi vive con ansia l’impennata dei prezzi innescata dalla crisi ucraina, non sono stati una passeggiata. Un impatto complicato anche dalla pandemia di Coronavirus, che un mese dopo l’arrivo nel governatorato a 450 km dalla capitale (e a poche decine dal confine algerino) ha forzato i due missionari in casa per lunghi periodi, impedendo per mesi l’avvio di qualunque iniziativa concreta.
«Oggi sul fronte sanitario il peggio sembra passato e finalmente abbiamo cominciato a inserirci in alcuni contesti dove la nostra presenza può essere significativa», raccontano mostrandomi la loro accogliente casetta affittata nel quartiere un po’ periferico di Cité Olympique, a pochi minuti dall’aeroporto. Il piccolo scalo, quarant’anni fa, ha aperto la regione al flusso del turismo verso quest’area del Paese, affascinante quanto arretrata rispetto al Nord tunisino. E dove la presenza cristiana, in un contesto di fede e cultura musulmane, è ancor più rara e marginale.
«Se a Tunisi, ma anche a Sousse o a Bizerte, la Chiesa cattolica opera apertamente su vari fronti, pastorali e soprattutto educativi e sociali, qui non esiste una comunità di fedeli né c’è una parrocchia», chiariscono padre Anand e fratel Marco. «Fino a qualche anno fa alcuni religiosi legati soprattutto alla storica presenza francese avevano tenuto viva una testimonianza cristiana, seppur discreta, ma nel 2016 le ultime suore francescane se ne sono andate». Da allora, i vertici della Chiesa tunisina – erede di quella delle origini, dei santi e dei martiri – non avevano perso occasione per provare a fare ripartire una missione quaggiù. E proprio da questa esigenza è nato l’impegno del Pime nel Paese dei gelsomini.
«Ma non è stato così semplice!», tiene a precisare padre Anand. Lui, ordinato sacerdote nel 2015, era stato destinato all’Algeria, dove l’Istituto ha appena compiuto i suoi primi quindici anni. Dopo alcuni mesi in Francia, in attesa del visto d’ingresso per il Paese si era stabilito a Tunisi per studiare l’arabo. «L’ok delle autorità, però, continuava a non arrivare e, trascorso un anno, fu chiaro che era necessaria una riflessione sul da farsi». Sì avviò così un confronto interno all’Istituto, spinto anche dal concomitante invito dell’arcivescovo di Tunisi, monsignor Ilario Antoniazzi, ad aprire una nuova presenza nel Paese nordafricano.
«Una sorta di missione “sorella” di quella algerina, con alcune caratteristiche simili e l’opportunità di condividere esperienze e risorse», spiega padre Anand che, a fine 2018, ricevette dal superiore generale padre Ferruccio Brambillasca la proposta di essere proprio lui il pioniere di questa avventura, insieme a fratel Marco Monti, già veterano della Thailandia e poi per sei anni consigliere dell’Istituto. Lo stesso fratel Marco aveva condiviso l’opportunità di accogliere l’invito di monsignor Antoniazzi. La cui diocesi, però, è vasta come l’intera Tunisia, e conta solo dieci parrocchie a cui fanno riferimento i trentamila cattolici del Paese: soprattutto migranti e studenti africani, impiegati di aziende straniere e ong.
E così, quando l’Assemblea del 2019 ufficializzò l’invio dei due confratelli nella seconda missione nordafricana del Pime, la meta prescelta fu Tozeur, al limitare del Sahara. La cittadina – 32 mila abitanti – è capoluogo di un governatorato che conta oltre 100 mila persone nel cuore di un’area berbera, come dimostrano le suggestive decorazioni geometriche che ornano i tradizionali muri di mattoni ocra della medina. Padre Anand e fratel Marco camminano nel labirinto di viuzze e sottopassi dell’antico quartiere Ouled el-Hadef, su cui si affacciano le pittoresce, tipiche porte in legno di palma. Tutto intorno, una distesa di mille ettari di palmeti, che producono le 99 qualità di datteri per cui Tozeur è famosa.
«All’inizio fummo ospiti nella casa di un’anziana signora francese che ha vissuto tutta la vita qui, lavorando come infermiera», raccontano i due missionari. «Poi abbiamo cominciato a cercare un appartamento da affittare… ne avremo visti almeno una trentina prima di trovarne uno adatto e con un proprietario disposto ad avere a che fare con due religiosi cristiani!».
La gente del posto, in realtà – assicurano – «è molto accogliente, ma i sospetti di proselitismo, seppure la libertà religiosa sia in teoria prevista dalla Costituzione, rappresentano sempre un ostacolo».
I due se ne sono accorti presto, quando – tra un lockdown e l’altro – hanno provato ad avviare possibili iniziative nel campo sociale: «La diffidenza era evidente», raccontano. «A questa si aggiungevano i ritardi e le inefficienze dovuti all’instabile situazione politica del Paese». In principio ci si era orientati a collaborazioni con enti attivi nel settore della disabilità, in cui fratel Marco aveva già una lunga esperienza, ma «gli agganci con una rete locale di Centri specialistici si sono tutti arenati per i troppi passaggi burocratici».
Era partito con il piede sbagliato anche il contatto con l’associazione che invece oggi è diventata la prima realtà con cui il Pime coopera a Tozeur, impegnata con donne single e ragazzi di contesti svantaggiati: «La sua presidente, a Tunisi, aveva bloccato il progetto che stavamo avviando qui al Sud», racconta fratel Marco. «Ci sono voluti altri tentativi, con proposte di attività a favore dell’inclusione scolastica dei bambini più poveri, a farle cambiare idea». Pian piano, la titubanza si è trasformata in fiducia e i legami si sono rinsaldati: oggi, due volte alla settimana, fratel Marco e padre Anand raggiungono il quartiere popolare di Ras Edhraa dove tengono corsi di inglese, francese e italiano a bambini e giovani che frequentano il doposcuola. Insieme al personale locale, poi, organizzano escursioni, momenti di festa con i ragazzi e le mamme, attività educative e ricreative per la generazione che, dopo la primavera araba del 2011 e l’inverno politico, economico e sociale che ne è seguito, più soffre per la mancanza di opportunità che attanaglia il Paese, in particolare il Sud più arretrato (e storicamente trascurato dai governanti).
«Noi qui siamo come due semplici volontari di un’associazione locale», affermano. «Non siamo venuti a “piantare bandierine” o a tentare di convertire quante più persone possibile, ma a portare una testimonianza cristiana, proprio come vuole il carisma del Pime».
Il confronto sulla fede, poi, capita spesso nella vita quotidiana: «In realtà di solito la gente ci chiede perché non diventiamo musulmani, visto che siamo brave persone!», sorridono i due missionari. «Allora, con delicatezza, cerchiamo di spiegare ciò in cui crediamo». Una sfida enorme, in un contesto intriso della tradizione islamica. E che tuttavia il Pime è più che mai convinto ad accettare: a Tozeur presto arriverà anche padre Patience Kalkama, 36enne camerunese, mentre è in partenza la collaborazione con i missionari messicani di Guadalupe per una presenza congiunta. E si punta ad aprire una nuova comunità nel Nord del Paese, mentre i progetti sociali a Tozeur, e presto anche nella capitale, saranno supportati dalla fondazione vicina all’Istituto, New Humanity International.
Ma dove trovare la forza e la motivazione per una missione di estrema minoranza come questa? E qual è il suo senso? La risposta arriva – silenziosa quanto eloquente – alla domenica mattina, quando padre Anand, davanti a un minuscolo altare allestito nel piccolo soggiorno di casa, celebra la Messa insieme a fratel Marco e ai rari ospiti cristiani di passaggio. Il rito è semplice ma molto curato, i canti in francese e arabo, il clima raccolto. Alla fine, si spengono le candele, si tolgono i paramenti e si torna fuori, per le strade ricoperte dalla sabbia del deserto.