Il presidente Zuma, sotto accusa per l’uso improprio di fondi pubblici e i legami con alcuni controversi imprenditori, resta al suo posto malgrado le richieste di dimissioni. Dalla costituzione e le Chiese possono però arrivare gli strumenti per uscire dalla crisi.
«Non stiamo vivendo una crisi costituzionale, ma dovremo affrontare sfide politiche molto serie». Mike Pothier, analista dell’Ufficio di collegamento della Conferenza episcopale cattolica presso il parlamento sudafricano (Cplo) parla da Città del Capo: qui, il 5 aprile scorso i parlamentari hanno respinto, a maggioranza, la richiesta di impeachment nei confronti del presidente della Repubblica, Jacob Zuma. Una decisione che, però, non ha fatto tacere la voce di chi del capo di stato vorrebbe le dimissioni.
A pesare su Zuma non è solo una sentenza sfavorevole della Corte costituzionale sul caso Nkandla, la località dove sorge la sua residenza privata, ma ristrutturata con denaro pubblico. Né semplicemente il caso Panama papers che ha coinvolto il nipote, Khulubuse, e indirettamente lo stesso leader. La rivelazione più clamorosa riguarda infatti le sospette manovre della potente famiglia di imprenditori di origine indiana Gupta. I milionari, sostenitori del presidente, sarebbero arrivati ad offrire incarichi di governo (compreso il ministero delle Finanze) a persone di loro scelta. Il rifiuto di alcune di queste e la decisione di informare la stampa hanno fatto esplodere il caso.
Soprattutto quest’ultima vicenda ha mostrato fino a che punto gli intrecci tra poteri economici e politica – forti ai tempi del regime segregazionista bianco, ma anche con la nascita, dopo la fine dell’apartheid, di una ristretta élite nera – siano diffusi nel paese e sollevato interrogativi sull’efficacia delle garanzie costituzionali. «Sgomento, sconvolto e inorridito» per la vicenda dei Gupta si è definito ad esempio il Consiglio delle Chiese sudafricane. Lo stesso organismo che, dopo il verdetto su Nkandla, ha espresso scetticismo sulla possibilità di richiamare Zuma alle sue responsabilità: «In qualsiasi democrazia normale il presidente si rivolgerebbe alla nazione stasera e annuncerebbe le sue dimissioni – recitava il comunicato dei leader cristiani -. Ma non siamo in una democrazia normale».
Pur consapevole dell’importanza del momento, però, Mike Pothier vede ancora molte possibilità per lo Stato sudafricano di uscire dall’impasse. «Il nostro sistema giudiziario ha dimostrato di essere forte e di lavorare bene, così come altre istituzioni indipendenti – chiarisce -. La soluzione è una sola: che al vertice dello Stato ci siano politici e funzionari che hanno a cuore l’interesse del Paese e non il fare soldi per sé o il favorire qualcuno: persone così esistono ma dobbiamo fare di più per individuarle».
Lo strumento più potente in questo senso, ragiona ancora l’analista del Cplo, è già in mano ai cittadini. «Dobbiamo usare il potere del nostro voto – esorta – per mandare messaggi politici durante le elezioni». Segnali che le Chiese possono rafforzare, perché, conclude Pothier, «godono della fiducia di gran parte della popolazione e hanno un alto grado di credibilità: quando i leader religiosi si pronunciano su questi temi, vengono presi sul serio».