Fabio Pipinato, presidente di Ipsia Trento, è appena tornato dal Mali, dove ha incontrato alcuni mediatori di pace: “L’attentato di oggi rade al suolo l’accordo che si stava faticosamente raggiungendo”, dice a Mondo e Missione.
“Dall’aeroporto all’hotel ho dovuto passare tre posti di blocco, però fino ad oggi c’era molta speranza per i risultati raggiunti dai mediatori di pace”. A parlare è Fabio Pipinato, presidente della ong italiana Ipsia del Trentino. Fino a 10 giorni fa era a Bamako, in Mali dove è in corso l’attentato all’hotel Radisson Blue, con 170 ostaggi nelle mani degli jihadisti.
In Mali Pipinato è andato per verificare la fattibilità di un progetto in cooperazione con un’associazione locale. L’idea è costruire in una città del nord del Paese un “Hotel della pace”, un centro dove possano alloggiare e studiare insieme ragazzi di diverse etnie. Considerando quanto sta accadendo in queste ore in Mali, ora più che un progetto sembra un sogno.
A Bamako il cooperante italiano, che è anche giornalista, è riuscito a incontrare il mediatore incaricato dal governo per l’accordo di pace, Sidi Brahim Ould Sidati. “Quando l’ho intervistato era positivo sui risultati raggiunti” racconta Pipinato. “Era riuscito a far sedere al tavolo i diversi rappresentanti dei gruppi che stanno combattendo per il potere e il controllo del territorio, compresi alcuni gruppi jihadisti. Aveva lasciato però fuori dalle trattative l’Isis: una scelta molto coraggiosa che gli aveva cambiato la vita, infatti era iper-protetto dalle scorte delle Nazioni Unite. Nell’accordo aveva compreso i gruppi jihadisti che però non seguivano l’Isis e tutte le famiglie tuareg, cercando di creare una spaccatura nel fronte del fondamentalismo islamico. Ciò che è successo oggi manda all’aria tutto”.
“Ho notato che l’ambasciata francese era iper-protetta” continua Pipinato, “la strada per arrivarci era presidiata e si poteva percorrere in una sola direzione. “La Francia era coinvolta nell’accordo di pace, insieme agli Stati Uniti. Era stata un’altra mossa azzeccata di Sidi Brahim Ould Sidati, in un’Africa divisa fra anglofonia e francofonia, con le rispettive influenze, aveva capito che per arrivare alla pace era necessario chiamare al tavolo tutti gli steakeholders, tenendo conto anche degli interessi economici nei confronti dell’oro e del petrolio nel Paese. È stata una modalità molto intelligente per rispondere nei fatti alle rivendicazioni da parte delle popolazioni locali, che non hanno la capacità di estrarre le risorse ma le hanno nel proprio sottosuolo”.
“Nel Paese si respirava un clima positivo, di speranza per la pace” afferma Pipinato, “però Sidi Brahim Ould Sidati mi aveva confidato di essere preoccupato per tutto l’odio seminato nel Paese e perché c’erano ancora un paio di Imam che predicavano la guerra santa. Bisogna rilevare però che in Mali ci sono centinaia di Imam che predicano la pace, nella lettura che si fa dei fatti in questi giorni questo non viene abbastanza sottolineato”.
A dare un grande contributo nel percorso verso l’accordo di pace sono stati i dogon, un’altra popolazione del Mali imparentata con i tuareg. “Io stesso ho potuto incontrare il mediatore dell’accordo grazie al segretario della nostra associazione partner, Gyruram, che è anche nipote di un importante capo dogon” afferma Pipinato. “Sono diverse le forze che stanno lavorando per riportare la pace in Mali”.
Ora c’è solo da sperare che non si debba ripartire da zero. E che progetti come l’Hotel per la pace possano diventare realtà.
Nella foto in copertina: Pipinato insieme ad alcuni tuareg coinvolti nelle trattative.
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