Il Paese africano va al voto il 9 agosto per eleggere il presidente e il parlamento, dopo una campagna elettorale velenosa. Ma gran parte della gente è più preoccupata della propria sopravvivenza
Toni accesi da una parte, scarso interesse dall’altra. È una campagna elettorale che infiamma solo i discorsi dei politici quella che porterà alle elezioni presidenziali e parlamentari di domenica 9 agosto in Kenya. Mentre gran parte della popolazione sembra piuttosto indifferente o disillusa. Al punto che, anche in questo Paese africano, il rischio è che a vincere sia innanzitutto l’astensione. O la violenza. È ancora viva infatti la memoria dei terribili scontri a sfondo etnico scoppiati all’indomani delle contestate elezioni di dicembre 2007 che fecero più di 1.100 morti e quelli seguiti a quasi tutte le successive tornate elettorali.
La rissa in pubblico che ha coinvolto il presidente uscente Uhuru Kenyatta e il suo vice William Ruto è senza precedenti e non è certo di buon auspicio per chiunque vincerà e dovrà guidare il prossimo governo del Paese. Ma era ormai da mesi che i due uomini politici – alleati che non si sono mai amati – usavano toni molto forti.
«Preghiamo perché non continuino così, perché tutti, a cominciare dai bambini, sentono i nostri leader che si scambiano insulti in un momento in cui dovrebbero concentrarsi sulla costruzione della pace», ha scritto nelle scorse settimane il vescovo di Meru Salesius Mugambi, a nome della Conferenza episcopale.
Tensioni politiche
Evidentemente, però, la violenza verbale non si è fermata. Anche perché i due ex alleati hanno scelto opposte fazioni. Kenyatta – che non è candidato – ha infatti schierato il partito a supporto del suo storico oppositore Raila Odinga, 77 anni – primo ministro dal 2008 al 2013 – che per la quinta volta si presenta per la la più alta carica dello Stato, dopo che nelle ultime due tornate era stato sconfitto proprio da Kenyatta.
Per contro, William Ruto che è vice presidente da dieci anni, è stato escluso dal partito presidenziale e ne ha creato uno proprio, le United Democratic Alliance, che ovviamente corre contro quello di Odinga. Il quale, con la sua tipica veemenza, ha minacciato di boicottare il voto se la Commissione elettorale non potrà disporre del registro manuale degli elettori, oltre che di quello elettronico. Secondo Odinga, sarebbero in atto manovre per truccare almeno 10 mila seggi – per un totale di circa 2 milioni di voti – a favore di Ruto.
«Siamo consapevoli – hanno scritto i vescovi – che uno dei fattori trainanti delle crisi post-elettorali è il rifiuto da parte degli attori politici di accettare i risultati delle elezioni. A questo proposito, facciamo appello ai keniani di esigere che tutti i candidati accettino i risultati delle imminenti elezioni generali o cerchino giustizia nei tribunali se danneggiati. Insistiamo sul fatto che tutte le controversie e le lamentele devono essere affrontate attraverso il sistema giudiziario del Paese».
Crisi economica
Gran parte della popolazione, tuttavia, sembra più preoccupata della sua sopravvivenza che di queste elezioni. Il Paese, del resto – come tutto il Cordo d’Africa – sta subendo gli effetti della peggiore siccità degli ultimi 40 anni, con almeno tre stagioni delle piogge quasi completamente saltate. Molte famiglie hanno perso raccolti e capi di bestiame e sono ormai alla fame. La situazione è stata aggravata da una apocalittica invasione di locuste all’inizio dello scorso anno, dai contraccolpi della pandemia di Covid-19 e, più recentemente, da un’impennata dell’inflazione, con un aumento significativo dei prezzi dei beni di prima necessità dovuto anche alla guerra ucraina. Il Paese, inoltre è uno dei principali importatori di grano da Ucraina e Russia, da cui dipende per circa il 75% del suo fabbisogno. Attualmente, più di 4 milioni di persone si trovano in una situazione di grave insicurezza alimentare e necessitano di aiuti umanitari; il 27% della popolazione soffre di fame e sete e oltre 1 milione e mezzo i capi di bestiame sono già morti. L’economia ha subito un tracollo anche per il blocco del turismo, la disoccupazione giovanile è dilagante e il debito estero alle stelle.
È piuttosto comprensibile, dunque, che, in una simile situazione, le controversie verbali e le promesse pleonastiche di uomini politici peraltro estremamente corrotti e cleptomani – il Kenya occupa stabilmente le posizioni più basse della classifica di “Transparency International, classificandosi 128ᵃ su 180 Paesi – non smuovano l’entusiasmo e la partecipazione della gente. «Evitate di eleggere un ladro», ha tuonato Kenyatta riferendosi chiaramente, pur senza nominarlo, al suo vice Ruto: «Non voglio sentirvi piangere e avere rimorsi di coscienza. Ci sono persone che raccontano storie dolci come il miele, ma sono veleno», ha aggiunto il presidente uscente che, peraltro, non è un campione di trasparenza e buon governo.
« C’è da sperare – commenta l’editorialista dell’EastAfrican, Jenerali Ulimwengu – che da qualche parte nella psiche collettiva, ci sarà abbastanza tolleranza e resilienza per consentire ai keniani di uscire da questo caos apparente mantenendo intatta la loro sanità mentale».