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La riscossa degli agricoltori 2.0

CAPO DI BUONA SPERANZA
Giovani istruiti e connessi usano le nuove tecnologie per rilanciare un lavoro antico: l’agricoltura
  Sono probabilmente i protagonisti dell’agricoltura di domani. In francese li chiamano “agripreneur”, ovvero gli agro-imprenditori. Sono gli agricoltori africani 2.0. Che hanno cominciato a far propria una sfida iniziata negli anni Duemila in America Latina e in India: quella di rilanciare se stessi e l’agricoltura su basi nuove e più moderne. Sbarcato in Africa, questo modo nuovo di fare agricoltura ha subito attirato centinaia di giovani laureati che non sono riusciti a trovare un’occupazione nel settore secondario o terziario. Hanno così ripiegato sull’agricoltura o sull’agro-alimentare inizialmente come mezzo per sopravvivere, poi per costruirsi un futuro prospero. Questi agro-imprenditori hanno dato vita ad attività redditizie in diversi settori: produzione di ortaggi, commercializzazione di sementi di cereali e legumi, pescicoltura e trasformazione della soia e della manioca… Ciò che li caratterizza è il fatto che tutti hanno una buona istruzione e familiarità con le innovazioni tecnologiche. Grazie alla loro formazione accademica, ad esempio, sono in grado di preparare tutta la documentazione necessaria per ottenere prestiti bancari e grazie alla padronanza delle tecnologie della comunicazione seguono da vicino i mercati internazionali,  in modo da essere sempre informati sul valore dei prodotti che coltivano o trasformano. Attivi sui social network, si confrontano con i loro coetanei di tutto il mondo e all’interno dei loro Paesi. In questo modo, si sono formati gruppi di auto-aiuto che hanno cominciato a strutturarsi in diversi Stati africani a partire dal 2010. La Ibadan Young Entrepreneurs (Iya) in Nigeria è stata la prima organizzazione nazionale. Ma un po’ ovunque esistono strutture di questo tipo, come la Tanzanian Young Entrepreneurs (Tya) creata nel 2014 o la Ugandan Young Entrepreners (Uya), costituita nel 2015. Il fenomeno degli agro-imprenditori consente agli Stati africani di affrontare due problemi in una volta sola: quello dell’esodo rurale, che ha visto in questi ultimi trent’anni le campagne spopolarsi e le città sovraffollarsi; e quello della disoccupazione giovanile che rappresenta una grande sfida in gran parte del continente. In più, alcuni di questi agro-imprenditori, oltre a creare lavoro per se stessi e i loro parenti, hanno cominciato anche ad assumere altre persone. Alcuni hanno ottenuto un notevole successo grazie a buone dosi di dinamismo e fantasia: è il caso della camerunese Vanessa Zommi, 21 anni, che vende tè a base di moringa per prevenire il diabete; o l’etiope Jony Girma che produce e vende miele bio e cera d’api; mentre la nigeriana Aduragba Titilayomi Adeoluwa alleva e affumica pesci-gatto; infine, il keniano Jeremy Riro ha sviluppato un business a partire dai pollai del suo villaggio. Certamente, non tutte le aziende di agro-imprenditori hanno successo. Tuttavia, queste iniziative contribuiscono spesso a incoraggiare gli abitanti delle zone rurali a darsi da fare come loro. In questo modo, il lavoro della terra ha cessato di essere riservato ai contadini che vivono a malapena dei frutti della loro fatica ed è diventato un vero e proprio mestiere che si inserisce nel mondo moderno e globalizzato, con svariate opportunità. Ultimo valore aggiunto: questi giovani agro-imprenditori danno speranza ad altri ragazzi che, teoricamente destinati a stare dietro una scrivania, possono orientarsi verso un lavoro più manuale, senza sentirsi svalutati. Questo cambiamento di paradigma rispetto alla terra apre nuove prospettive a decine di milioni di disoccupati ammassati in megalopoli sempre più invivibili.

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