Applicava gli strumenti della finanza al sociale e credeva nella crescita dell’Africa, il 41enne americano morto nell’attentato a Nairobi. Era scampato all’attentato dell’11 settembre a New York
Intercettava piccoli progetti innovativi nati dal basso e li aiutava a “scalare”, trasformandoli in business ad alto impatto sociale.
Jason Spindler, il 41 enne americano tra le vittime dell’attacco terroristico in Kenya di martedì scorso al Dusit Hotel di Nairobi, credeva nella capacità di innovazione dell’Africa. E, nella capitale del Kenya, aveva fondato una società, la I-Dev, che aiutava le start up locali che volevano migliorare il proprio Paese.
La figura di Jason sta emergendo con sempre più dettagli in questi giorni e ha molto da dire su ciò che sta diventando l’Africa e su come invece viene percepita. Ma anche su come il business e la finanza possono essere strumenti formidabili quando l’obiettivo è quello giusto.
Torniamo indietro di quasi 18 anni. È il 2001, Jason ha appena 23 anni e lavora a New York nel mondo della finanza. Precisamente per la Salomon Brothers, una banca d’affari di quelle che praticano la speculazione finanziaria in modo selvaggio e senza regole (e che finirà dopo pochi mesi in una serie di scandali, tanto da dover cambiare nome nel 2003).
La mattina dell’11 settembre 2001, mentre migliaia di persone fuggono dal World Trade Center, nel centro di Manhattan, Jason fa il contrario: corre fra le macerie e inizia a tirare fuori la gente – come ha riferito in questi giorni al Washington Post il suo compagno di stanza del college Kevin Yu.
Dopo l’attentato alle Torri gemelle, però, comincia a farsi delle domande, e decide di dare una svolta alla sua vita – «Era stato colpito profondamente: quello che era successo, aveva cambiato il suo modo di sentire e pensare», ha spiegato ancora Yu -. Lascia l’investment banking. Negli anni successivi si laurea in legge alla New York University, parte come volontario in Perù con i Peace Corps e intraprende la sua nuova strada: dedicarsi all’imprenditoria sociale.
«In Kenya era arrivato una decina di anni fa», raccconta a Mondo e Missione Fabio Pipinato, già cooperante in Kenya e oggi nel direttivo di Ipsia, l’organizzazione non governativa delle Acli. «Io l’ho incontrato a Nairobi, città che considerava una “silicon valley” promettente. Usava la tecnologia e i business plan per rendere efficaci le piccole innovazioni sociali che nascevano dal basso. Se lavoravi nel terzo settore non potevi non incontrarlo. Aveva la straordinaria capacità di prendere una buona idea e portarla a un livello almeno nazionale se non internazionale, usando le sue competenze da manager e da analista finanziario. Una capacità preziosissima per il terzo settore, che spesso opera in piccolo e in modo artigianale».».
Nella capitale del Kenya Jason organizzava delle esposizioni in cui i giovani e le piccole start up potevano presentare le proprie idee a potenziali finanziatori . «La cosa interessante è che almeno il 10 per cento dei finanziatori era sempre locale, del Kenya», continua Pipinato, «Dopodiché aveva la capacità di attrarre anche fondi di grandi organizzazioni americane e internazionali. Il suo staff era composto di persone giovanissime, fra cui molti africani e indiani, tutte risorse che aveva incontrato lavorando in Kenya.
Ieri l’ex presidente Bill Clinton, che ha conosciuto Jason attraverso la Clinton Foundation, ha detto di lui che «aveva scelto di dedicare la sua vita a espandere opportunità nel mondo». E la madre, Sarah Spindler, ha spiegato che «stava cercando di produrre un cambiamento positivo nei mercati emergenti del Terzo mondo».
Quello che è certo è che Jason non guardava all’Africa con uno sguardo caritatevole, ma individuava i semi di innovazione e li potenziava. Sosteneva il cambiamento e l’innovazione che incontrava, e che sta continuando a crescere nelle città africane e a Nairobi in particolare. La sua missione era diventata far crescere questi semi e far vivere l’Africa. L’esatto contrario del terrorismo.