L’arte africana torna a casa

CAPO DI BUONA SPERANZA
Molte opere d’arte sono all’estero più o meno legalmente, ma alcune stanno tornando in Africa

 

Maschere, statuette, opere varie in legno, terracotta o metallo create dal genio artigianale africano si contano a migliaia nelle gallerie d’arte, nelle collezioni private, in musei e case d’asta, soprattutto in Europa e Nord America. Opere d’arte usate nei rituali o per decorazione, private o meno della loro carica culturale, a volte hanno lasciato l’Africa legalmente, acquistate da collezionisti, altre sono state sottratte come bottino di guerra durante la colonizzazione o semplicemente sono state offerte in dono. Nella maggior parte dei casi, però, sono frutto di spoliazione o di traffico. Alcuni di questi oggetti, acquistati o rubati, hanno visto il loro valore crescere vertiginosamente negli ultimi anni.

Così, nel 2006, la ricchissima donna d’affari Liliane Bettencourt ha acquisito una maschera ngil fang del Gabon per la somma di 5,9 milioni di euro. Nel 2015, una maschere funeraria kota, sempre del Gabon, è stata venduta a 5,47 milioni. Si possono citare altri esempi in anni recenti: una maschera gouro della Costa d’Avorio a 1,5 milioni; una maschera grebo-krou della zona di confine ivoriano-liberiano a 1,32 milioni; una maschera a spalla baga-yamba della Repubblica di Guinea a 2,39 milioni; o una modesta testa di perline atwonzen, della regione di Dschang in Camerun, comprata per 99.900 euro da un mercante europeo.

Purtroppo, i Paesi e, ancor meno, gli artigiani africani non traggono alcun beneficio da questo mercato dell’arte. Da diversi decenni, però, sono nate alcune iniziative per rimpatriare in Africa le opere più simboliche che hanno lasciato il continente in modo fraudolento. Attraverso l’Unesco, una convenzione firmata nel 1970 ha cominciato a stabilire una sorta di inventario degli oggetti africani posseduti illegalmente. La risoluzione 3187 dell’Onu del 1973 andava nella stessa direzione. Il Consiglio internazionale dei musei ha stabilito una lista di opere che non possono essere vendute. Sfortunatamente, a causa della debolezza finanziaria soprattutto degli Stati africani, la maggior parte degli oggetti identificati rimangono nei Paesi del Nord. Tuttavia, ci sono stati casi in cui è stato possibile recuperare alcune opere. Così nel 1973, dopo aver mobilitato la popolazione locale e i ministeri della Cultura di tutto il mondo, il Camerun è riuscito a riavere una statuetta denominata Afo Akom, oggetto rituale del popolo kom (Nord-ovest del Paese), che era stata rubata da un collezionista americano. La campagna, durata parecchi mesi, si è conclusa con la restituzione. Tuttavia, sfinite da questa lunga trattativa, le autorità camerunesi hanno successivamente rinunciato a impegnarsi in nuove battaglie.

Attualmente, con le nuove capacità di mobilitazione e grazie a Internet – che consente di monitorare meglio i mercati dell’arte clandestini, – operazioni di questo tipo sono di nuovo possibili. E così, responsabili di musei e collezionisti africani inseguono attraverso il mondo le opere e fanno causa ai loro possessori se non si impegnano a restituirle. Anche i governi europei sono più sensibili a questo tipo di reclami. E da cinque anni, si assiste a diversi sequestri da parte delle dogane, seguiti da restituzioni ai Paesi a cui gli oggetti erano stati sottratti.

L’ultima di queste, il 18 maggio ad Abuja, dove l’Ambasciata di Francia in Nigeria ha consegnato a Yusuf Abdallah Usman, direttore generale della Commissione nazionale per i musei e i monumenti, due frammenti di una statuetta nok. Il gesto è certamente simbolico. Ma apre una finestra sulla necessaria trasparenza nella circolazione del patrimonio culturale africano e rende più complicato il compito dei trafficanti.