Creata vent’anni fa da una laica missionaria, la scuola materna di Bula ha permesso a migliaia di piccoli guineani di avere un pasto al giorno e un minimo di istruzione. Contribuendo anche a cambiare la mentalità dei più grandi
Storie di vita e di morte che si intrecciano, rinviando le une alle altre. Vite donate, che continuano a dare frutto attraverso le vite degli altri. Succede in un piccolo villaggio della Guinea Bissau, Bula, a 40 chilometri dalla capitale. Dove Donata Corti, laica con la passione per la missione sin da bambina, è approdata oltre vent’anni fa, al seguito delle Suore adoratrici del sangue di Cristo: suor Romana Sacchetti, in particolare, infermiera, e suor Esperia Sulis, direttrice della scuola. Entrambe sono morte in un incidente stradale lo scorso 18 giugno, lasciando un grande vuoto in missione, ma anche nella vita di Donata.
Così come, in precedenza, aveva lasciato dolore e smarrimento la perdita dei genitori, Antonio e Francesca. La cui memoria, tuttavia, continua ancora oggi a riecheggiare all’ingresso della scuola materna di Bula, che porta il loro nome. Qui, migliaia di bambini hanno giocato e ricevuto un pasto quotidiano, hanno appreso qualche rudimento di igiene e un minimo di istruzione. Per molti di loro quella scuoletta, cresciuta un po’ alla volta con incessante tenacia, ha rappresentato l’unica chance di sopravvivenza in un contesto estremamente povero, dove spesso le famiglie non avevano abbastanza cibo per tutti. «A quel tempo – ricorda Donata – in tutta la Guinea Bissau esisteva una sola scuola materna, quella di padre Dionisio Ferraro, missionario del Pime, nella parrocchia di Nossa Signora de Fatima a Bissau. Fuori dalla capitale, nulla. Conoscevo padre Dionisio e pensavo che quell’iniziativa dedicata ai più piccoli fosse un segno grande di speranza. Per questo, dopo la morte dei miei genitori, ho avuto immediatamente l’idea di aprire pure io una scuola materna. Perché ero convinta che l’istruzione fosse addirittura prioritaria rispetto alla sanità. Perché aiutava a prevenire le malattie».
La scuola materna della missione di Bula ha visto così la luce nel 1996, con i primi 40 bambini che hanno cominciato a frequentarla. Adesso ne ospita 128, con 6 insegnanti. Donata si occupa di tutto: stipendio del personale, materiale didattico, uniformi, cibo… «Ho sempre avuto un sostegno straordinario da parte di amici ed ex colleghi».
Solidarietà senza esibizione, che però lascia il segno. Come e innanzitutto quella di Donata, che dal 1996 continua con straordinaria fedeltà e tenacia ad accompagnare l’opera delle suore e il lavoro della scuola materna, andando in Guinea Bissau tutti gli anni, almeno per tre mesi.
«Adesso nel Paese la situazione è leggermente migliorata, anche per quanto riguarda l’istruzione. Tuttavia, ancora oggi ci sono solo tre scuole materne statali nella capitale più quelle aperte nelle varie missioni. L’attenzione alla prima infanzia è ancora molto scarsa. Eppure è importantissima per il futuro di questi bambini e di tutto il Paese».
Lo scorso febbraio, la scuola ha celebrato i suoi primi vent’anni di attività, con tanti ex studenti ormai divenuti uomini e donne che sono tornati a salutare e a festeggiare. Alcuni oggi studiano all’estero, come due ragazzi, che frequentano l’università in Portogallo. O come la prima bambina aiutata con un’adozione a distanza da Donata e che adesso è a Curitiba in Brasile con una borsa di studio. Donata l’aveva trovata in foresta quando aveva quattro anni; aveva la tubercolosi e la filaria, si grattava contro il tronco di una pianta e mangiava terra; la mamma era epilettica e la bambina stava con la nonna, che non si curava di lei. Di fatto è cresciuta con le suore.
Questi festeggiamenti hanno rappresentato una grande emozione per Donata, così come per le suore e per alcune insegnanti come Suzette, che è lì sin dall’inizio: una vera e propria pioniera che, per imparare un mestiere allora sconosciuto, era stata mandata dalle suore proprio alla scuola di padre Dionisio, per un tirocinio di alcuni mesi.
Quest’anno alla festa ha partecipato anche l’imam. Segno di un buon rapporto di convivenza tra popolazioni di religioni diverse, ma anche di apprezzamento per il lavoro svolto dalle suore e in particolare dalla scuola materna. «Pian piano – continua Donata – anche in questo Paese così povero e travagliato le cose stanno migliorando. Adesso, nella missione delle suore, ci sono anche una scuola elementare, sponsorizzata da amici della Sicilia, un piccolo dispensario e un centro nutrizionale, dove purtroppo ci sono ancora molti bambini malnutriti. La prima volta che sono andata in Guinea Bissau nel 1981 il dispensario era sotto una pianta. E io, laureata in diritto amministrativo, mi sono dovuta adattare a fare un po’ di tutto. Tre giorni a settimana si andava nei villaggi: io mi occupavo delle campagne di vaccinazione anti-polio o delle donne incinte. Cosa che continuo a fare ancora adesso».
Oggi anche le infrastrutture e la sanità sono leggermente migliorate, nonostante il Paese continui a essere tra i più poveri e arretrati al mondo. E pure la mentalità sta lentamente evolvendo. Ma i cambiamenti culturali sono quelli più difficili e lenti. E se sono più ostici per gli adulti, alcuni messaggi riescono a passare più facilmente proprio attraverso i bambini. «Alcune donne musulmane – cita ad esempio Donata – sono venute a ringraziarmi per quello che avevano imparato dai loro figli. I quali, quando tornavano a casa e mangiavano nella bacinella comune a tutti con le mani, chiedevano agli adulti di lavarsele. Sembra un gesto banale, ma quante malattie permette di prevenire?».
Quest’anno, tuttavia, Donata ha trovato una situazione più difficile del solito: in particolare, al centro nutrizionale c’erano più bambini denutriti che in passato. Questo è dovuto soprattutto ai cambiamenti climatici e alla carestia che ha interessato anche questa parte del continente, seppur in maniera meno drammatica che nel Corno d’Africa.
Ma una parte di responsabilità è ancora riconducibile all’incuria, all’ignoranza e alle false credenze. «Se quello degli orfani è un problema oggettivo – commenta Donata – quello dei gemelli è anche culturale. Spesso uno dei due viene ucciso o lasciato morire. Con le adozioni a distanza cerchiamo di aiutare la madre a farsi carico di entrambi. E tuttavia quest’anno non siamo riusciti a salvare un piccolo probabilmente avvelenato perché ritenuto responsabile della morte della mamma. C’è ancora molto da fare per cambiare la mentalità…».
Donata non si scoraggia, anzi. «Credo fermamente nella Provvidenza – dice -. Ci sono tantissimi episodi che ti fanno toccare con mano la presenza di qualcuno sopra che ti aiuta. Ecco quello che ci spinge innanzitutto ad andare avanti».