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Le ragazze masai più libere con lo sport

In Kenya, 40 ragazze hanno partecipato quest’anno alle “Olimpiadi masai”. Un’occasione di emancipazione che passa anche attraverso l’atletica
L’emancipazione delle ragazze masai del Kenya passa anche dall’atletica. Alle “Olimpiadi masai” di quest’anno, infatti, erano ben 40 le atlete che vi hanno preso parte, su 160 gareggianti in totale. Un numero che, benché rappresenti ancora una minoranza, segna una svolta importante sul tema dell’inclusione delle donne in un contesto che fino a pochi anni fa ammetteva la partecipazione di soli uomini. La competizione si è tenuta nella riserva di Kimana dove le giovani donne masai hanno potuto partecipare a due discipline: 100 metri e i 1.500 metri. Rispetto alle discipline cui hanno accesso gli uomini c’è ancora un grosso divario da colmare, ma comparando la situazione attuale al 2012, quando questi particolarissimi Giochi sono stati organizzati per la prima volta, i progressi fatti sono evidenti. Le donne, inizialmente, potevano al massimo stare nel pubblico per incitare gli atleti maschi. Gli uomini gareggiavano invece per dimostrare forza e coraggio, e spesso questo permetteva loro di trovare nelle spettatrici le future spose. Negli ultimi anni, le discipline sportive aperte alle donne sono diventate un importante veicolo per la loro emancipazione. Nelle tribù masai, che vivono al confine tra Kenya e Tanzania, il ruolo femminile è in generale ancora profondamente subordinato a quello dell’uomo. La struttura sociale è infatti prettamente patriarcale, e il solo scopo attribuito alle ragazze è quello di trovare un marito per poi formare una famiglia. Bassissimo è il tasso di istruzione tra le donne delle tribù: solo il 48% di loro riceve un’educazione primaria, e solo una donna su dieci riesce a frequentare la scuola secondaria. L’accesso allo studio è complesso anche a causa della diffusa povertà dei masai, che ancora oggi si dedicano prevalentemente all’allevamento e in parte all’agricoltura, anche se sono sempre più coinvolti – ma anche talvolta sfruttati o strumentalizzati – nelle attività turistiche. Sono moltissimi, infatti, i turisti che si recano nelle terre meravigliose dei masai attratti dalla presenza di moltissimi animali selvatici e in particolare dei leoni. Ed è anche per salvaguardare il re della savana che sono state istituite le “Olimpiadi masai”, su iniziativa dei capi tribù insieme alla Big Life Foundation, un’organizzazione di conservazione che si impegna nel preservare la fauna selvatica e gli habitat naturali. Nei primi anni Duemila, infatti, i leoni rischiavano di scomparire dalle terre dei masai. Bella riserva naturale di Amboseli, in particolare, erano rimasti solo venti esemplari, anche per le attività di caccia a cui i giovani uomini masai prendevano parte per dimostrare il loro coraggio. Anche i capi tribù più anziani hanno riconosciuto il problema, che oltre a intaccare l’ecosistema, avrebbe portato conseguenze negative sulla vita degli stessi masai. Per questo è stata creata una “alternativa culturale” che permettesse ai guerrieri di continuare a fare mostra delle proprie abilità, non più nella caccia, ma in attività sportive. Per il progetto sono state ideate sei diverse discipline, dalla corsa al salto in alto al lancio del giavellotto (o, più precisamente, del rungu, una mazza da lancio in legno, da sempre emblema dello status di guerriero dei giovani maschi). Da un paio di anni le “Olimpiadi masai” hanno fatto un ulteriore salto di qualità e ora non sono più solo uno spazio per gli uomini, ma stanno diventando sempre più anche un’occasione di praticare lo sport anche per le donne, che ancora oggi, vengono sottoposte, giovanissime, alla pratica orribile delle mutilazioni genitali femminili. Una delle giovani atlete, Valentine Naisimoi, ha spiegato ad Al Jazeera che generalmente si pretende che le donne rispettino i ruoli tradizionali. «Esistiamo solo per sposarci», ha detto. Ma la pratica sportiva offre oggi alle ragazze una nuova opportunità di poter scegliere qualcosa di diverso per la propria vita. Anche il coordinatore dei giochi per Big Life Foundation, Samuel Kaanki, è convinto di questo. Ma lo sono soprattutto le ragazze masai, che, sempre più numerose, manifestano di voler partecipare alle gare.

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