Papa Francesco ha nuovamente lanciato un appello per metter fine al terribile conflitto che sta devastando l’Etiopia e in particolare per la gravissima crisi umanitaria che si aggrava di giorno in giorno e che affligge ormai milioni di persone
A un anno dalla fine “ufficiale” della guerra, è cominciata una guerra senza fine. È quanto sta succedendo in Etiopia dove il conflitto continua paurosamente ad ampliarsi e complicarsi, con conseguenza umanitarie apocalittiche.
Lo scenario è in continua e drammatica evoluzione: le forze del Tigray People’s Liberation Front (Fronte di liberazione del popolo del Tigray, Tplf) che nel novembre dello scorso anno sembravano aver subìto una pesante disfatta – al punto che il premier del governo federale Abyi Ahmed aveva dichiarato la fine del conflitto dopo poche settimane dal suo inizio – ora pare abbiano ribaltato gli equilibri bellici.
Quella che non è cambiata, invece, è la situazione della gente, che si fa di giorno in giorno sempre più drammatica, anche perché tutta la regione settentrionale del Tigray resta sostanzialmente inaccessibile alle agenzie umanitarie, così come a qualsiasi osservatore indipendente.
«Sofferenze umane inaccettabili»
Lo scorso 3 novembre, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha parlato di «sofferenze umane inaccettabili» e ha invitato «tutte le parti coinvolte nell’escalation del conflitto a smettere immediatamente di combattere, altrimenti si rischia di spingere la catastrofica situazione umanitaria della regione “oltre ogni limite”».
Secondo la Bachelet, vi sono fondati motivi per ritenere che tutte le parti in conflitto abbiano commesso gravi violazioni dei diritti umani, alcune delle quali potrebbero costituire crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Il campionario è quello macabro di tutti i conflitti: arresti, uccisioni, violenze su base etnica, stupri e torture.
Già in maggio, le Nazioni Unite avevano lanciato un pressante allarme per la gravissima situazione in cui si trovavano almeno 400 mila persone ridotte letteralmente alla fame. Le pochissime testimonianze e immagini che filtrano dalla regione raccontano di un’infinità di bambini malnutriti. Un recente report delle Nazioni Unite indica che anche il 79% delle madri incinte e che allattano si trova nella stessa condizione. E non c’è nessuno in grado di farsene carico. Le poche strutture sanitarie esistenti e funzionanti non riescono a far fronte alla situazione per mancanza non solo di medicine, ma anche di cibo. È quanto accade, ad esempio, nell’Ayder Referral Hospital di Makallè, la capitale del Tigray, il più grande della regione, assolutamente impossibilitato a gestire un’emergenza che dura ormai da troppi mesi.
Sono immagini che ci riportano indietro di decenni, quando l’Etiopia venne investita da una serie di terribili carestie con migliaia di vittime. Questa volta, però, oltre alle ripercussioni dei cambiamenti climatici e dell’invasione delle cavallette – da cui il Paese non si è ancora risollevato -, è l’ennesimo inutile conflitto ad abbattersi come una piaga biblica su popolazioni già molto sofferente.
I combattimenti tuttora in corso avrebbero provocato oltre 2,7 milioni di sfollati interni e migliaia di profughi soprattutto nel vicino Sudan. Anche le regioni Amhara e Afar sono state coinvolte e pure qui si stima che centinaia di migliaia di persone abbiano bisogno di aiuti urgenti.
Il tutto continua ad avvenire nel buio più totale, perché il governo di Addis Abeba ha letteralmente “oscurato” il Tigray, tagliando i servizi energetici e tutte le comunicazioni, e bloccando anche i trasporti e il sistema bancario. Un “assedio” che ha avuto pesantissime ripercussioni su tutti i settori dell’economia, dall’agricoltura ai commerci, dalle imprese alle piccole attività informali che davano da mangiare a milioni di famiglie.
Anche al presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa Peter Maurer in visita in Etiopia è stato negato l’accesso alle zone di conflitto: «Al momento non vediamo la luce alla fine del tunnel – ha dichiarato alla Bbc -. Prima troviamo una soluzione politica che ci porti fuori dal conflitto meglio è. Perché se anche dovesse finire domani, avremo comunque centinaia di migliaia di sfollati e bisogni enormi». Bisogni che riguarderebbero più di cinque milioni di persone in situazione di grande vulnerabilità.
«È in gioco la stabilità del Paese e dell’intera regione»
Tutti gli appelli lanciati dalle Nazioni Unite e dall’Unione africana sono caduti nel vuoto, così come le minacce degli Stati Uniti sul piano commerciale. E, infatti, la reazione del governo di Addis Abeba è stata quella di proclamare lo stato di emergenza per almeno sei mesi. Un atto su cui ha espresso la sua grande preoccupazione il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, secondo cui «è in gioco la stabilità del Paese e dell’intera regione». Per questo ha chiesto «l’immediata cessazione delle ostilità, accesso umanitario illimitato per fornire assistenza urgente salvavita e un dialogo nazionale inclusivo per risolvere la crisi e creare le basi per la pace e la stabilità».
Dal canto loro, anche i combattenti tigrini del Tplf non sembrano disposti ad accettare nessuna tregua e nessun dialogo. E così, nel silenzio globale che circonda la guerra in Etiopia, si continua a udire solo il rumore funesto delle armi.