Sempre più limitati i diritti umani nel Paese. A denunciarlo è Francis Odongyoo, difensore dei diritti umani invitato in Italia dalla ong Soleterre e dalla rivista “Africa” dei Padri Bianchi.
L’Uganda si trova davanti a un bivio. Nonostante a livello internazionale gli venga riconosciuta stabilità e un certo livello di democrazia, all’interno dei suoi confini è sempre più evidente un restringimento dei diritti umani fondamentali. A denunciarlo è l’organizzazione Soleterre, che venerdì scorso ha promosso a Milano un seminario di approfondimento sul Paese africano nell’ambito della sesta edizione dei Dialoghi sull’Africa organizzata dalla rivista Africa, il bimestrale dei Padri Bianchi.
«Difendere i diritti umani nel mio Paese è diventato sempre più difficile negli ultimi anni» afferma Francis Odongyoo (al centro della foto), direttore esecutivo di Hurifo – Human Rights Focus. «Una serie di leggi emanate dal governo a partire dal 2011 ha reso più difficile il lavoro delle associazioni locali e delle organizzazioni non governative, e imposto limiti alla libertà di espressione. Le associazioni più esposte per la difesa della libertà di stampa e la tutela di diverse categorie di persone perseguitate, come le persone omosessuali, subiscono di continuo bliz negli uffici, intimidazioni e distruzione del loro materiale e delle loro strutture».
La principale motivazione di leggi come quella per l’ordine pubblico (il Public Order Management Act del 2013) o la legge per le organizzazioni non governative è che si tratta di provvedimenti per mantenere la stabilità e la sicurezza nazionale. Capita però che divengano il pretesto per frenare manifestazioni e attività non favorevoli al governo.
«Non è un caso che le leggi più lesive dei diritti umani siano state emanate nel 2011» afferma Valentina Valfrèm responsabile del programma Diritti e Partecipazione di Soleterre. «In quell’anno si tennero le ultime elezioni generali, contrassegnate da grandi proteste delle organizzazioni della società civile e della popolazione contro l’inarrestabile caro-vita, proteste che chiedevano conto al governo della cattiva gestione dei fondi e della corruzione».
Da trent’anni al potere, Yoweri Museveni ha vinto le elezioni lo scorso febbraio con il 60% dei consensi e guiderà il Paese fino al 2021, ma la sua vittoria è stata fin da subito seguita da polemiche, a cominciare dagli osservatori dell’Unione Europea che hanno definito l’atmosfera nel Paese «intimidatoria». Kizza Besigye, principale avversario di Museveni, è finito in carcere, e nei giorni successivi il neopresidente ha imposto alle compagnie mobili locali di bloccare il traffico dati. in modo che i cittadini non potessero scambiarsi opinioni sui social networks.
«I giornalisti sono controllati», afferma Francis Odongyoo, «non sono liberi di scrivere quel che vedono, ma solo quel che vuole il governo. Specialmente quelli che diventano un simbolo della libertà di espressione subiscono delle vere e proprie aggressioni. Durante la festa nazionale del lavoro un giornalista è stato aggredito per aver fotografato dei poliziotti che spingevano l’auto (guasta) di un commissario del distretto. Violentemente bastonato sul capo, ora sta lottando per fare le azioni più semplici durante la giornata, non è più in grado di sedersi da solo e fatica a camminare». Questo e altri casi sono stati documentati anche da Amnesty International nel suo rapporto annuale sull’Uganda.
In Uganda la società civile è ampia e diversificata: nel 2013 erano oltre dodicimila le associazioni iscritte ai registri delle organizzazioni non governative presso il ministero degli Affari Interni. Una voce importante e spesso scomoda.