Cresciuto a Nairobi, in uno dei più vasti slum d’Africa, oggi Kennedy Odede è il leader di un’associazione locale che vuole cambiare il volto e la reputazione di Kibera. Dal di dentro
«Stiamo proponendo una sorta di “scuola della leadership”. L’obiettivo più grande che abbiamo per questi ragazzi è quello di vederli crescere, andare a scuola, trovare un lavoro e poi tornare qui ogni sera e dire: ora sono un personaggio politico, un bravo dottore, un banchiere. E… sono cresciuto a Kibera!».
L'”impresa” di Kennedy Odede è iniziata quando aveva 16 anni. Dopo aver trovato un impiego da un dollaro al giorno in una fabbrica di farina, rimase infatti scioccato nel vedere morire davanti a sé un collega più anziano con quarant’anni di duro lavoro sulle spalle. «Non posso continuare per altri quarant’anni, non posso rappresentare una mera statistica», ha pensato Kennedy, ora 33 anni, originario della regione nord-occidentale di Kisumu, ma trasferitosi nello slum di Kibera con la famiglia all’età di due anni.
Durante il tragitto verso casa, una stanza in lamiera due metri per due, decise così di comprare un pallone da calcio e coinvolgere la sua comunità in diversi programmi: prima legati allo sport e poi a quei temi sociali maggiormente discussi nella baraccopoli e tradotti in vari spettacoli teatrali. È attraverso tali iniziative che cominciò a prendere forma l’associazione chiamata Shining Hope for Communities (Speranza luminosa per le comunità, Shofco).
«In quel periodo – spiega con un sorriso Kennedy – ho incontrato e mi sono innamorato di Jessica Posner, la ragazza americana che sarebbe poi diventata mia moglie. Mi domandavo come una mzungo, una bianca, potesse venire a vivere in questo posto». Con le violenze post-elettorali del 2007, il giovane keniano, diventato ormai una figura pubblica all’interno di Kibera, inizia a ricevere minacce dalle mafie locali che lo vogliono controllare. Una soluzione è quella di fuggire in Tanzania, prima di volare anche lui in America e provare ad andare all’Università. «Non ho mai ricevuto un’istruzione primaria o secondaria e sono un auto-didatta», afferma divertito Kennedy, il quale si è laureato alla Wesleyan University, grazie a una borsa di studio. «Kennedy ha un carisma, un’intelligenza e una determinazione rarissimi – afferma un membro dello staff di Shofco -. Quando vuole una cosa la ottiene».
Durante quei quattro anni di studi, lui e Jessica iniziano a pensare a come tornare un giorno a Kibera, per continuare ad aiutare le comunità. Uno dei problemi principali è la profonda percezione di disuguaglianza tra donne e uomini. «Pensando alle brutte esperienze di cui mia madre e mia sorella sono state vittime per anni – racconta -, abbiamo deciso con Jessica di lanciare, nel 2009, la prima scuola gratuita di Kibera per sole ragazze».
Da lì, tutto è cresciuto molto velocemente: una mensa, una clinica e vari programmi che, con uno stile allo stesso tempo keniano e americano, cercano di emancipare la popolazione della baraccopoli, rendendola sempre più cosciente del proprio potenziale. «Tutte le nostre iniziative puntano ad avere un impatto organico e completo verso le famiglie – spiega Kennedy -. Affrontiamo vari settori come: sport, salute, cibo, acqua potabile, istruzione di base, corsi specifici per il commercio, asili, utilizzo della tecnologia, media, e così via».
Attraverso questi programmi, i giovani sono quindi meno a rischio rispetto a problematiche come gravidanze precoci, violenza, droga e tante altre realtà difficili che fanno parte di Kibera, una baraccopoli che non è mai stata seriamente censita (gli abitanti possono essere 500 mila come un milione).
Shofco ha coinvolto con i suoi servizi circa 350 mila residenti. Inoltre, in seguito ai contatti maturati da Kennedy negli Stati Uniti, gran parte dei finanziamenti, oltre a provenire dalle stesse comunità, sono stati forniti dalla Clinton Foundation e da alcune celebrità americane che hanno visitato i progetti. «Gli abitanti di Kibera soffrono dei pesanti stereotipi inflitti dalla società – conclude Kennedy -, per questo noi di Shofco vogliamo cambiare la reputazione di questo slum e rivoluzionare la nostra comunità».