In pochi giorni una serie di attacchi terroristici, tutti riconducibili all’estremismo islamista, ha colpito il Paese africano. La testimonianza di un cooperante italiano
Ieri un attacco a una pattuglia militare nel nord del Mali, con un’autobomba e armi da fuoco, ha causato quattro morti e 31 feriti, inclusi soldati francesi. Sabato scorso almeno quattro soldati maliani sono stati uccisi da una mina esplosa al passaggio del loro veicolo nell’area di Koro, Mali centrale. Il giorno prima, militanti islamisti avevano ucciso almeno sei persone a Sevaré, nel centro del Paese, in un raid contro una postazione miliatare del G5 Sahel, una forza anti-terrorismo creata da Mali, Burkina Faso, Niger, Mauritania e Ciad, e finanziata da Stati Uniti, Unione europea e Arabia Saudita.
Sono tre attacchi in tre giorni a matrice islamista, in un Paese chiave dell’Africa centrale, alle prese da tempo con le infiltrazioni dei gruppi terroristici dell’estremismo islamico, e in una fase delicata a meno di un mese dalle elezioni presidenziali, che si terranno il 29 luglio.
Anche l’Unione africana, riunita da ieri a Nouakchott, in Mauritania, per il suo 31mo vertice, ha espresso preoccupazione per quanto sta accadendo in Mali: «Sosteniamo i paesi che affrontano attacchi terroristici e condanniamo questi attacchi», ha dichiarato il presidente di turno dell’Ua e presidente del Ruanda Paul Kagame.
A preoccupare è l’escalation di violenza in un momento di transizione politica nel Paese, e il fatto che si stia spostando da alcuni mesi verso il centro del Paese, generalmente considerato come una zona tranquilla. Da sei anni il Mali è diviso in due. La regione a nord, verso il Sahara, dopo essere stata dichiarata indipendente nel 2012 dal Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad, laico e democratico, è ora in mano ad indipendentisti tuareg pericolosamente vicini a gruppi fondamentalisti, mentre il sud è controllato dall’esercito governativo con un forte appoggio francese.
A Saveré, teatro del’attacco terroristico di sabato scorso, si trova anche l’Hotel de la Paix, frutto di un progetto di solidarietà coraggioso promosso dall’Istituto Pace Sviluppo e Innovazione delle Acli (Ipsia) e finanziato dalla provincia autonoma di Trento. La struttura ha aperto lo scorso dicembre con l’obiettivo di dare accoglienza e un posto sicuro dove vivere e studiare a 50 ragazze in un’area difficile, a metà strada tra Bamako, la capitale, e Timbuctu. A causa della divisione e dell’instabilità nel Paese, la strada di Sevarè è percorsa dai profughi che si muovono da nord verso sud, tra cui moltissime donne.
«La situazione è molto preoccupante – afferma Fabio Pipinato, vice presidente nazionale di Ipsia e responsabile del progetto in Mali -. Una settimana fa si è verificato un incendio doloso in un mercato a Yassing, vicino a Mopti, sulla strada che porta verso il Burkina Faso. Non ne ha parlato nessuno, ma ci sono state numerose vittime. In questa zona da tempo ci sono scontri tra Peul (allevatori) e Dogon (agricoltori), ma negli ultimi anni sono stati alimentati sempre di più dall’Isis. La notizia più preoccupante è che anche nel sud del Mali l’Isis ha infiltrato attentatori pronti ad agire. Le nostre fonti locali ci dicono che non sono maliani, ma che provengono da Burkina Faso e Niger. Vengono addestrati e inviati nel Paese».
Il progetto dell’Hotel de la Paix, che vuole essere un segno di speranza per una pace possibile, continua, ma in una situzione sempre più difficile. «I prezzi di ogni cosa, dai beni alimentari al carburante sono altissimi a causa dell’insicurezza – afferma il vicepresidente di Ipsia -. Abbiamo organizzato degli aiuti da mandare a Yassing, dove abbiamo cooperato alla costruzione di una scuola, ma i costi per mandare due carichi di miglio, che costituisce la dieta base, sono elevatissimi. In più bisogna trovare qualcuno di affidabile per trasportarli, e riferirsi all’esercito per la sicurezza. Le persone che conosciamo stanno chiuse in casa, si muovono il meno possibile. Hanno paura».