Le «banche culturali» sono una via di mezzo tra il museo e la banca: nate in un villaggio si stanno diffondendo altrove
Lo scorso 9 dicembre 2015, Aldiouma Yattara ha ricevuto a Parigi il prestigioso premio “Cultura per la pace”, assegnato ogni anno dalla Fondazione Chirac. Ex studente della scuola nazionale delle Belle arti di Bamako in Mali, si è presentato nella capitale francese non a titolo personale, ma in quanto direttore del Museo del Sahel di Gao, nel Nord del Paese, e come portavoce di un’iniziativa di tutela e conservazione del patrimonio culturale, nata alcuni anni fa in un villaggio e che ora sta cominciando a dare i suoi frutti in tutta l’Africa occidentale.
Questa iniziativa è stata lanciata da Aldiouma Yattara, insieme ad altri, nel 1997 nel villaggio di Fombori, grazie alla caparbietà di un certo Aissata Oduro. Quest’ultimo, presidente di una piccola associazione locale, aveva cominciato a dare la possibilità alle popolazioni rurali di custodire gli oggetti di valore culturale in un luogo protetto e destinato a questo scopo; in cambio, veniva offerta loro la possibilità di ricevere un microcredito e una formazione in gestione.
Denominata “banca culturale”, questa iniziativa ha incoraggiato, innanzitutto, gli abitanti dei villaggi a identificare i loro beni artigianali, culturali e archeologici, a farne la manutenzione e a evitare che venissero svenduti a turisti o mercanti d’arte di passaggio.
Dopo il successo di Fombori, altri villaggi nel Nord del Mali hanno riproposto questa esperienza, preservando così il loro patrimonio e quello ereditato dai loro antenati. Altro vantaggio: queste “banche culturali” sono diventate luoghi privilegiati in cui gli anziani trasmettono il loro sapere artistico o artigianale alle giovani generazioni. A differenza delle banche tradizionali, che non prestano denaro in cambio di oggetti, o dei musei, che conservano le opere senza offrire prestiti in denaro, la “banca culturale” è un mix dei due, con l’ulteriore vantaggio che gli abitanti dei villaggi partecipano, essi stessi, alla difesa del loro patrimonio in caso di danneggiamenti o minacce.
È quanto avvenuto nel 2012, in seguito allo scoppio della guerra e all’occupazione delle principali città del Nord del Mali da parte di gruppi armati. In quella circostanza, anche le famose raccolte di manoscritti antichi e le tombe dei santi musulmani di Timbuktu sono state saccheggiate. Al contrario, i beni culturali della città di Gao sono stati risparmiati, soprattutto perché le popolazioni locali li avevano sottratti ai miliziani che avrebbero potuto distruggerli. Un salvataggio che è stato riconosciuto anche attraverso il premio “Cultura per la pace” attribuito a queste “banche culturali”.
Ma ben prima di questi incidenti, altre comunità di Paesi dell’Africa occidentale, come Benin e Togo, avevano deciso di trarre ispirazione dall’esempio del Mali per creare anche loro delle “banche culturali”. Persino la Guinea Conakry, nonostante abbia dovuto affrontare una devastante epidemia di Ebola, ha previsto la creazione di simili strutture. Anche altre regioni del mondo, segnate da guerre o crisi, potrebbero affrontare le minacce temporanee al loro patrimonio artistico e culturale, “importando” questo piccolo ma efficace modello, nato in un villaggio del Nord del Mali e divenuto oggi “patrimonio dell’umanità”.