Mauritania: la tradizione che impone alle donne di essere grasse

Mauritania: la tradizione che impone alle donne di essere grasse

Nel film «Il corpo della sposa» la regista italiana Michela Occhipinti racconta il fenomeno del gavage, l’alimentazione forzata per aderire a una canone estetico ereditato da una società che per secoli ha ammesso lo schiavismo

 

«Occuperai nel cuore di tuo marito lo stesso spazio che occuperai nel suo letto». Questa frase, che la nonna dice alla nipote Verida, promessa sposa che si sta preparando al matrimonio, riassume con una perfetta sintesi lo spirito di quel fenomeno che prende il nome di leblouh (o gavage, in francese, parola che significa alimentazione forzata). È una prassi antica, ma ancora diffusa in Mauritania, che la regista italiana Michela Occhipinti racconta abilmente nel suo film Il corpo della sposa. Presentato lo scorso anno a Berlino, esce ora su Miocinema.it, nell’ambito di una rassegna dedicata ai documentaristi italiani. Non trattandosi di un blockbuster, questa pellicola al cinema avrebbe avuto poco spazio: grazie al rilancio delle piattaforme online legato al Covid, è possibile vedere Il corpo della sposa ovunque e scoprire una tradizione mauritana davvero poco nota.

Verida, la protagonista, appartiene a una famiglia borghese di pelle chiara. La società mauritana è infatti composta da una minoranza arabo-berbera che si definisce bidan, o bianca, e da una moltitudine nera, suddivisa fra nati liberi, appartenenti a varie etnie, e haratin, cioè gente di pelle scura arabizzata e discendente di ex schiavi. Questi ultimi compaiono poco in questo film, si vedono di sfuggita le loro baracche in qualche inquadratura. Giustamente Occhipinti non ci parla di loro, perché il gavage nasce in ambito arabo-berbero.

La famiglia di Verida abita in una casa in muratura, con acqua e corrente elettrica: un lusso che in Mauritania non è per tutti. I genitori hanno trovato un accordo con una famiglia benestante e la giovane è destinata a sposare il loro rampollo. Inizia così il conto alla rovescia verso la data delle nozze, alla quale la sposa deve presentarsi in carne, con un corpo fasciato e racchiuso nei veli che tutte le donne islamiche portano, e chiaramente sovrappeso. Per ottenere questo risultato, la ragazza è costretta a bere ogni giorno molti litri di latte di cammella o di capra e abbuffarsi con numerose portate di cous cous con carne grassa di agnello. Detto così, può sembrare un’inezia. In realtà, è una forma di tortura, che priva la giovane del controllo sul suo corpo – deformato dal grasso-, costringe lo stomaco a ingerire cibo fino alla nausea e può provocare gravi ripercussioni sulla salute. Verida si piega alla tradizione, ma in parallelo cerca di continuare la sua vita, frequentando le amiche, uscendo di casa per andare ad aiutare la nonna nel suo negozio di estetista e scambiando sguardi e messaggi sul cellulare con un giovane che la corteggia. La cinepresa di Occhipinti segue la ragazza, analizza i suoi stati d’animo, ci racconta la sua insofferenza che cresce di giorno in giorno. L’attrice che la interpreta, l’esordiente Verida Beitta Ahmed Deiche, è stata scelta dalla regista non solo per la bellezza del suo sguardo ma anche perché aveva vissuto l’esperienza del gavage sulla propria pelle.

Mentre il mondo occidentale rincorre le diete e la magrezza a ogni costo, cercando di cancellare dai corpi delle donne le forme più femminili, c’è da chiedersi come mai in Mauritania la bellezza coincida con cuscinetti di grasso in eccesso che arrivano a deformare il volto e le fattezze di una ragazza. La spiegazione è legata alla società mauritana, che per secoli ha ammesso lo schiavismo. Le donne in schiavitù si nutrivano degli avanzi dei padroni e avevano corpi esili e spesso sottopeso. Le famiglie benestanti, invece, si distinguevano non solo per il colore della pelle, ma anche perché le loro donne mangiavano in abbondanza e non svolgevano lavori manuali, ritenuti degradanti. Oggi la situazione sta cambiando, ma questo ideale estetico, che nasce da motivazioni economiche e sociali, ha finito per conquistare la mentalità mauritana. Nessun uomo sogna una moglie magra: la magrezza è sinonimo di povertà. Un altro paradosso è legato al colore della pelle. Mentre in Occidente si trascorrono pomeriggi al sole (o in un solarium) per apparire abbronzati, in Mauritania – come in altri Paesi africani – le ragazze si spalmano creme schiarenti, sognando di apparire più bianche. Nel film, questi cosmetici sono l’oggetto del desiderio anche per Verida e le sue amiche, che come arabo-berbere non ne avrebbero bisogno.

Come spesso accade, il compito di vigilare sul rispetto della tradizione è affidato alle madri che, convinte di fare il bene delle figlie, le costringono al gavage, convinte di poter così combinare un buon matrimonio. Sia chiaro, dopo le nozze una donna sposata non può mettersi a dieta: il marito non gradirebbe. Le mauritane che restano sovrappeso, però, sono esposte a una serie di problemi di salute, dal diabete all’ipertensione e a patologie cardiocircolatorie. Per chi non riesce proprio a ingrassare, sotto banco è possibile procurarsi farmaci a base di ormoni spesso destinati agli animali. Con effetti sulla salute che non è difficile immaginare.