I discendenti degli Herero e dei Nama trucidati dalle truppe del Kaiser all’inizio del Novecento chiedono i danni alla Merkel
È trascorso oltre un secolo da quello che vari storici ritengono il primo genocidio del Novecento: lo sterminio delle popolazioni Herero e Nama in Namibia da parte di una nazione coloniale europea, la Germania del Kaiser Guglielmo II. E oggi i discendenti dei sopravvissuti di quell’eccidio chiedono giustizia, bussando alle porte della corte distrettuale di Manhattan.
Qualche settimana fa, Vekuii Rukoro, capo degli Ovaherero, e David Fredricks, capo dei Nama, con il supporto dell’avvocato Kenneth McCallion – che ha rappresentato in passato molti sopravvissuti al lavoro forzato imposto dai nazisti, ottenendo per loro dei risarcimenti – hanno presentato una class action a New York contro la Germania. Mentre si attende l’esito di questa richiesta, è stato reso noto che i querelanti chiedono una riparazione economica, di entità non specificata, dallo stato tedesco, per le sofferenze subite dalle popolazioni Herero e Nama. L’istanza presentata in suolo americano si avvale di una legge del 1789, nota come Alien Tort Statute, che consente ai tribunali federali americani di avere la giurisdizione su atti compiuti in violazione delle norme internazionali che abbiano come vittime anche cittadini stranieri.
Per comprendere la rabbia che ha portato a questa class action, occorre guardare alla Namibia di oggi, prima che al passato. Su un’esigua popolazione di circa 2,3 milioni di persone, gli Herero e i Nama oggi rappresentano poco più del 10 per cento. Circa il 7 per cento degli abitanti sono bianchi e discendono dai coloni tedeschi. Malgrado il Paese abbia ottenuto l’indipendenza dal Sud Africa nel 1990 e sia stata attuata una redistribuzione minima delle terre, “la maggioranza dei terreni agricoli in Namibia è in mano a circa 4000 agricoltori bianchi”, scrivono David Olusoga e Casper Erichsen nel libro The Kaiser’s Olocaust- Germany’s forgotten genocide. “Circa 100 mila Herero continuano a vivere nelle ex riserve per i nativi, dove i loro nonni erano stati messi dai sudafricani (che subentrarono ai tedeschi dopo il 1919, ndr). Altri 200 mila namibiani neri lavorano come braccianti nelle fattorie dei bianchi”. «Ci tocca stare in riserve sovrappopolate, veri campi di concentramento moderni», ha dichiarato l’attivista Veraa Katuuo, «mentre le nostre terre sono occupate dai discendenti di chi ha perpetrato il genocidio dei nostri antenati. Se la Germania ripagasse i danni, gli Ovaherero potrebbero ricomprarsi i terreni che furono confiscati loro illegalmente».
Quando nel 1883 i tedeschi giunsero nella futura Namibia per creare la loro colonia poi chiamata Süd-West Afrika, non la trovarono disabitata. Fra i popoli nativi, spiccavano gli Herero, allevatori di bestiame, che avevano già incontrato i boeri olandesi e si erano convertiti al cristianesimo. La presenza dei pastori neri contrastava con i piani tedeschi, che volevano trasformare questo lembo d’Africa in una nuova Baviera, in cui portare i loro connazionali. In particolare, gli Herero possedevano le terre più fertili, quelle a cui ambivano i tedeschi. A occuparsi del progetto coloniale, il cancelliere Bismarck aveva designato un certo Heinrich Göring, padre di Hermann, futuro luogotenente di Hitler.
Inizialmente vennero stabiliti degli accordi con i popoli indigeni, ma quando i tedeschi iniziarono a violarli depredando le terre e le proprietà, nel 1904 gli Herero appoggiati dai Nama si ribellarono. Il generale Lothar von Trotta, a capo delle truppe germaniche, li sconfisse ricacciandoli nel deserto del Kalahari, dove morirono di fame e di sete. Alcuni sopravvissuti finirono in campi di concentramento, come quello di Shark Island, e furono sfruttati come forza lavoro in schiavitù. Su 100 mila Herero, ne morirono circa 80 mila.
Nel 2004, in occasione del centenario dello sterminio, l’allora ministra tedesca Heidemarie Wieczorek-Zeul in visita in Namibia è stata la prima a parlare di genocidio. Da allora, la posizione ufficiale tedesca – contraria all’uso di questo termine – ha iniziato a mostrare spiragli. Nel 2011 Berlino ha restituito una ventina di crani di namibiani, portati all’epoca in Germania per motivi scientifici: nel clima razzista di allora, dovevano servire a dimostrare la superiorità dei bianchi. Lo scorso luglio, il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmaier, ha parlato di “crimine di guerra e genocidio”, ma è dal 2015 che la posizione del governo tedesco è cambiata.
Berlino, tuttavia, non ha mai espresso delle scuse ufficiali. In realtà, c’è stata una disponibilità tedesca a compensare i danni del passato attraverso aiuti allo sviluppo per la Namibia. Secondo il sito di Deutsche Welle, che ha intervistato l’inviato speciale governativo per il dialogo con la Namibia Ruprecht Polenz, Berlino ha escluso il pagamento di compensazioni dirette ai discendenti degli Herero e dei Nama. «Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il governo tedesco ha risarcito solo chi ha personalmente sofferto nei campi di concentramento o è stato costretto al lavoro forzato», ha dichiarato Polenz.
Resta ora da vedere se l’istanza presentata a New York riuscirà a smuovere le acque, riaccendendo i riflettori dell’opinione pubblica internazionale su un crimine caduto nell’oblio, che è stato una sorta di sperimentazione in piccolo di quanto accaduto in seguito, durante il nazismo.