Sono decine i sacerdoti sequestrati, alcuni sono stati anche uccisi. La testimonianza di padre Luigi Brenna, missionario somasco, che ha subito un tentativo di rapimento: «Mi sono trascinato a casa ricoperto di sangue, ma vivo».
Alla fine se l’è cavata con lievi ferite e un grande spavento. E con la voglia di tornare al più presto nella sua missione. Non è scoraggiato padre Luigi Brenna – somasco di 71 anni, vittima di un tentativo di rapimento lo scorso 3 luglio a Ogunwenyi, nello Stato di Edo, Sud-est della Nigeria – ma preoccupato un po’ sì. «Ci sono una violenza tremenda e un grande caos – ammette il missionario che è rientrato in Italia per un periodo di cure e di riposo -. Forse anche perché si avvicinano le elezioni…».
Non vuole drammatizzare la sua vicenda, padre Luigi, che è originario del Lecchese e appartiene alla Congregazione dei Chierici regolari di Somasca (conosciuti come Padri Somaschi), ma non per questo mette da parte lucidità e capacità di analisi. Dopo 23 anni nelle Filippine, da 7 vive nel più popoloso e caotico dei Paesi africani, segnato da enormi diseguaglianze, continue violenze e troppe ingiustizie, ma caratterizzato anche da una straordinaria capacità della gente di praticare l’arte dell’arrangiarsi. Che, purtroppo, in tanti casi, significa far ricorso alla forza e alla sopraffazione.
Si inserisce in questo clima di instabilità e violenza, esasperato dalla campagna elettorale per le presidenziali del 23 febbraio 2023, anche il tentativo di rapimento che lo ha visto, suo malgrado, protagonista lo scorso luglio. «Come tutte le domeniche – racconta padre Luigi – c’era un gruppetto di una quarantina di ragazzi e di giovani che erano venuti a giocare nel nostro centro, che si trova in un villaggio molto isolato e povero. A un certo punto, tre uomini sono usciti a piedi dalla foresta. Uno di loro aveva un fucile e ha iniziato a sparare in aria. Gli ho detto di smettere perché spaventava i ragazzi, ma ha continuato a sparare all’impazzata. C’è stato un fuggi fuggi generale: ragazzi, seminaristi e anche un mio confratello che stava rientrando a casa…».
Evidentemente, però, i tre avevano ben in mente chi doveva essere la loro preda. «Quello che aveva il fucile parlava l’inglese – ricostruisce il missionario – e mi ha intimato di andare con loro. Io mi sono rifiutato e mi sono aggrappato a una recinzione. Mi hanno picchiato con un bastone finché non ho lasciato la presa. Ma non camminavo e così mi hanno colpito anche alle gambe e mi hanno trascinato via. Mi mancava il respiro, sentivo dolore e avevo paura. Mi urlavano di muovermi. Ma quando ho chiesto di farmi prendere fiato, quello con il machete mi ha dato un colpo forte sulla parte destra della testa. Mi ha preso la tempia e mi ha reciso l’orecchio, così ho perso i sensi. Probabilmente hanno pensato che fossi morto perché mi hanno lasciato lì. Quando sono rinvenuto, non c’era nessuno intorno. Mi sono trascinato a casa coperto di sangue, ma vivo».
I suoi confratelli lo hanno immediatamente portato all’ospedale locale, dove c’erano altri due preti nigeriani, pure loro sopravvissuti a un sequestro: «Li hanno fatti camminare per giorni nella foresta. Spesso i rapitori sono veramente crudeli, non hanno pietà di nessuno. A volte ti ammazzano anche se paghi il riscatto. C’è tanta paura. È una situazione molto difficile per tutti». Per i preti, in particolare, si tratta di un periodo davvero critico. Dall’inizio del 2022, infatti, sono una ventina i sacerdoti cattolici rapiti, sette solo nel mese di luglio: quattro sono stati uccisi. Neppure le religiose vengono risparmiate: a fine agosto, quattro suore sono state rapite in Imo State e liberate nei giorni successivi. Ma è solo l’ultimo di molti altri casi.
Quello dei rapimenti è un vero e proprio business in Nigeria. E non da oggi. Una specie di industria illegale diffusa ormai in tutto il Paese. Lo scopo è estorcere soldi alle famiglie delle vittime o alle istituzioni a cui appartengono. Per un sacerdote vengono chiesti fino a 150 mila euro. E anche se la politica della Chiesa nigeriana, esplicitamente dichiarata e ripetutamente ribadita, è sempre stata quella di non pagare i riscatti, i rapimenti di preti sono ormai all’ordine del giorno.
Negli stessi giorni in cui padre Brenna ha rischiato il rapimento, altri due sacerdoti sono stati sequestrati in Edo State, mentre pochi giorni prima un altro prete cattolico era stato ucciso durante un tentativo della polizia di liberarlo.
Il fenomeno riguarda anche il Nord del Paese, e in particolare lo Stato di Kaduna, dove oltre 700 sacerdoti hanno manifestato pacificamente in occasione del funerale di un altro prete ucciso, chiedendo maggiore sicurezza per loro e per tutti i cittadini della Nigeria. Anche la diocesi di Kafanchan (che si trova sempre nello stesso Stato) piange don John Mark Cheitnum, direttore delle comunicazioni sociali, rapito insieme a don Donatus Cleopas che è invece riuscito a fuggire.
«Il governo dovrebbe proteggere i nigeriani! La giustizia dev’essere garantita! Ma abbiamo ancora un governo?». Sono alcuni degli slogan scanditi dai preti che hanno dato vita a questa singolare protesta in occasione delle esequie di padre Vitus Borogo, ucciso il 25 giugno. Uno dei tanti – dei troppi – che hanno perso la vita negli ultimi mesi a causa dei sequestri.
«Nei miei sessant’anni di vita – ha detto l’arcivescovo di Kaduna, monsignor Matthew Manoso Ndagoso – non ho mai visto tanto male come adesso, nemmeno durante la guerra civile. Qualcosa non va con la leadership di questo Paese. Non abbiamo più lacrime, perché la loro fonte si è prosciugata a causa del continuo pianto. Non abbiamo nemmeno più voce, perché quando parliamo nessuno ci ascolta. Ma non perderemo la speranza!».
Anche l’Associazione dei sacerdoti cattolici diocesani nigeriani (Ndcpa) ha preso posizione con un comunicato molto duro: «Sono stati fatti diversi tentativi per chiedere aiuto al governo a vari livelli, ma come ha già fatto notare la Conferenza episcopale nigeriana, “è chiaro alla nazione che l’esecutivo ha fallito nel suo dovere primario di tutelare la vita dei cittadini nigeriani”. È davvero triste che nel corso delle loro ordinarie attività pastorali, i sacerdoti stiano diventando una specie in via di estinzione».
Non solo i sacerdoti, tuttavia, sono finiti nel mirino dei criminali. Tra gennaio e marzo, circa un migliaio di cristiani sono stati uccisi in varie parti della Nigeria. A questi vanno aggiunte le 37 vittime del terribile assalto alla chiesa di San Francesco Saverio a Owo (Stato di Ondo, nel Sud-ovest della Nigeria), perpetrato domenica 5 giugno. Alcuni giorni prima era stata assalita anche la parrocchia di Oshofa della Celestial Church of Christ, nello Stato di Ogun. Ma la lista potrebbe essere lunghissima, visto che il Paese sembra in balìa di un’ondata di violenza che non risparmia niente e nessuno, ma di cui è difficile individuare i responsabili. Sono in molti ad additare i pastori fulani – spesso “riciclatisi” in criminali – come i principali responsabili di scontri, omicidi e rapimenti a scopo di riscatto. Tuttavia, la situazione nigeriana è talmente complessa e caotica che probabilmente si mischiamo molti piani: delinquenti comuni, banditi, terroristi, persone in cerca di vendetta o di regolamenti di conti, politici senza scrupoli bisognosi di soldi per le loro esose campagne elettorali, bande di giovani allo sbando… Certamente tra i responsabili di violenze e rapimenti ci sono anche gruppi di pastori fulani, che negli anni si sono organizzati in bande criminali, talvolta anche radicalizzate dal punto di vista religioso, dando origine a continui scontri con le popolazioni stanziali, al punto da essere considerati, già dal 2014, tra i gruppi terroristici più letali al mondo dal Global Terrorism Index.
«La gente però non è cattiva, anzi – tiene a precisare padre Brenna -. Nel villaggio in cui siamo presenti, è molto povera e fa una vita durissima. Molti vengono da altre parti della Nigeria e vivono in insediamenti nella foresta, lasciando spesso i figli, anche molto piccoli, da soli nel villaggio. Cerchiamo di occuparcene come possiamo, diamo qualcosa da mangiare e li mandiamo a scuola nella nostra parrocchia che si trova a tre chilometri di distanza. Io vivo con altri due confratelli nigeriani e un chierico. Con noi ci sono anche cinque ragazzi e una ragazzina che hanno situazioni familiari disastrose. Nel villaggio bisogna fare un po’ di tutto. È una vita molto rurale e anche noi lavoravamo il campo per mantenerci».
Nonostante le condizioni molto umili, i criminali hanno comunque pensato di poter trarre un vantaggio economico dal rapimento di un missionario, oltretutto occidentale. «Questa disavventura – commenta padre Brenna – mi ha fatto capire più profondamente cosa significa per questa gente cercare un po’ di tranquillità e di serenità per vivere una vita semplice e aiutare le famiglie». MM