Padre Colleoni: “Il mio Zambia”

Padre Colleoni: “Il mio Zambia”

La testimonianza del missionario comboniano bergamasco, 83 anni, in africa dal 1964: “Un Paese molto povero, la corruzione è diffusa, le risorse minerarie sono in mano a compagnie straniere. Ma qui le tensioni tribali non ci sono”

 

«Dobbiamo essere umili quando parliamo dell’Africa: è un continente immenso e difficile da capire». Parola di padre Enrico Colleoni, missionario comboniano in Zambia. Ora è in Italia, rientrato da qualche mese per motivi di salute. «Prima ho preso il Covid, poi sono stato colpito da un angina pectoris – racconta -. Conto di tornare in missione appena starò meglio».

Bergamasco della Valle Seriana, 83 anni, è in Zambia dal 2005. «Prima del rimpatrio, ero superiore della nostra casa di Chipata, città nell’est del Paese, non lontano dal Malawi. Mi occupavo della formazione di religiosi e religiose locali: davo una mano alle congregazioni per la preparazione dei capitoli generali. Quella dello Zambia è una Chiesa che deve crescere. Fatica ancora a seguire la strada indicata dal Concilio, è fortemente gerarchica, con i vescovi che tendono ad accentrare le decisioni. Ci vorrà tempo. Ma è solo lavorando tutti insieme che potremo arrivare lontano».

I problemi del Paese, secondo padre Enrico, sono diversi. «Nonostante le bellezze naturalistiche e il turismo stagionale, lo Zambia è molto povero. La corruzione è diffusa. Le risorse minerarie, come il rame, sono in mano a compagnie straniere. Il senso civico, il gusto per il bello e l’interesse per il bene comune sono praticamente assenti. Il volontariato, ad esempio, non esiste. Le strade sono in pessime condizioni. E anche le chiese vengono poco curate ed abbellite. Le città sono affollate dalla gente che, sperando di fare fortuna, vi si riversa dalle campagne. Costruiscono dappertutto, senza fognature. E non mancano, per strada, piccoli episodi di delinquenza».

Dal punto di vista politico e sociale «lo Zambia è privo della lotta tribale, che è una costante africana. Dopo l’indipendenza del 1964, il presidente Kenneth Kaunda, morto lo scorso giugno, ha mescolato amministratori, dottori e maestri, mandandoli in diverse parti del Paese: questo ha creato un’unione politico-sociale profonda e diffusa».

In Zambia si sono registrati, ad oggi, circa 200 mila casi di positività al Covid-19 e oltre 3 mila decessi. «In pochi portano le mascherine, che sono obbligatorie nei centri commerciali ma non negli affollati mercati di strada. Nella mia comunità siamo tre confratelli: abbiamo contratto tutti il Covid. Gli ospedali sono strutture precarie e con standard igienici bassi: l’ho riscontrato quando sono stato ricoverato per l’angina pectoris».

Prima dello Zambia, padre Enrico è stato missionario in Uganda (1964-2005). «Ho operato in diverse parti del Paese, favorendo la sviluppo e la crescita della Chiesa locale. Da Angal, nella zona rurale al confine con la Repubblica Democratica del Congo, alla capitale Kampala. Ho vissuto la dittatura di Idi Amin Dada e, dopo la sua detronizzazione nel ’79, ho conosciuto il periodo delle vendette. Vivere quegli anni è stata un’esperienza intensa». Oggi l’Uganda è un Paese diverso, «cresciuto, che potrebbe puntare ad una maggiore autosufficienza economica. Ci sono due principali handicap: le ricchezze sono nelle mani di pochi ed il potere, dal 1986 ad oggi, è ben saldo in quelle di Yoweri Museveni, che governa da oltre 30 anni. Discorso simile anche per la religione: noi cattolici eravamo la maggioranza, ma a livello politico pressoché nulla. I protestanti, invece, hanno creato leaders».