Il cardinale Pietro Parolin, in Africa dall’1 all’8 luglio, toccherà il luoghi che avrebbero dovuto essere visitati da Papa Francesco. Intanto, però, nelle regione orientali della R.D. Congo, la situazione è tornata a essere tragica e incandescente. L’appello dei vescovi e la denuncia del Nobel Mukwege
Si svolgerà praticamente negli stessi giorni previsti per la visita di Papa Francesco il viaggio del segretario di Stato Pietro Parolin in Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan, dall’1 all’8 luglio. Certo, non sarà la stessa cosa. Specialmente a Kinshasa, dove la gente si stava preparando ad accogliere il Pontefice con un entusiasmo e un’esuberanza assolutamente straordinari.
Tuttavia, si tratta pur sempre di un segno importante di vicinanza del Pontefice alla Chiesa e al popolo congolesi, marcato anche dalla decisione di celebrare una Messa con la comunità congolese di Roma domenica 3 luglio, il giorno in cui l’avrebbe celebrata proprio nella capitale congolese. «Porteremo Kinshasa a San Pietro!», aveva detto Francesco, annunciando con rammarico il rinvio del viaggio.
Viaggio che peraltro avrebbe incontrato seri ostacoli soprattutto nell’Est del Paese dove sono nuovamente riesplosi violentissimi conflitti. «L’ora è grave!», ha denunciato una volta ancora l’arcivescovo di Bukavu François-Xavier Maroy: «I nostri sguardi si concentrano particolarmente sulla situazione molto critica che si è creata in seguito alla recente occupazione della città di Bunagana, nel territorio di Rutshuru, da parte del gruppo armato M23, che ha ripreso le ostilità, in un ciclo infernale di violenze, perdita di vite umane, spostamenti massicci di popolazioni e distruzione del nostro tessuto economico e sociale. È la storia che si ripete!».
Bunagana è una località strategica al confine tra R.D. Congo, Uganda e Ruanda, a nord di Goma, proprio dove Papa Francesco avrebbe dovuto fare tappa lunedì 4 luglio. Il capoluogo del Nord Kivu è luogo-simbolo di tutto l’Est del Paese, che da troppi anni è afflitto da inaudite violenze e dall’inarrestabile saccheggio delle sue risorse. Dal 1994, infatti – da quando cioè il vicino Ruanda è stato travolto dal terribile genocidio – anche questa terra non conosce pace: il flusso di oltre un milione di profughi prima e poi le ribellioni che, a partire dal 1996, hanno portato alla caduta del trentennale regime di Mobutu Sese Seko, hanno introdotto elementi di violenza e destabilizzazione che si sono diffusi in questa vasta regione come metastasi di un cancro difficile da debellare. Ancora oggi sono un’infinità i gruppi di ribelli, banditi e persino terroristi islamici che uccidono, saccheggiano, incendiano villaggi, violentato le donne, rapiscono bambini, costringono la gente a fuggire e a vivere da sfollati al limite della sopravvivenza.
Ripresi i combattimenti
In queste ultime settimane, poi, sono ripresi i combattimenti tra le Forze armate congolesi (Fardc) e il Movimento del 23 Marzo (M23) nel territorio di Rutshuru (Nord Kivu). L’M23 è riuscito ad occupare alcune zone, uccidendo brutalmente moltissimi civili. Le autorità congolesi accusano il Ruanda di appoggiare l’M23; Kigali, a sua volta, sostiene che la R.D. Congo collabora con le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (Fdlr).
Sullo sfondo, però, resta anche un ramificato sistema di corruzione e sfruttamento delle persone e delle ingenti materie prime, in particolare oro, coltan e cassiterite, di cui il vicino Ruanda continua a profittare ampiamente.
I vescovi della Provincia ecclesiastica di Bukavu – che comprende anche le diocesi di Goma, Beni-Butembo, Uvira, Kindu e Kasongo – ricordano che «diverse comunità sono vittime di catastrofi naturali e di violenze umane: eruzioni del vulcano Nyiragongo a Goma, inondazioni a Uvira e Kindu, smottamenti a Bukavu, proliferazione di gruppi armati. Ci troviamo in uno stato di desolazione».
«La visita del Papa era attesa come un abbraccio a lungo sperato – commenta padre Emmanuel Adili Mwassa, saveriano di Bukavu -. La tappa di Goma, in particolare, avrebbe avuto un grande valore simbolico non solo per il mio Paese, ma per tutta l’Africa centrale. Un segno di vicinanza alla gente ferita, un incoraggiamento a non perdere la speranza, ma anche un messaggio chiaro ai leader politici, un richiamo alla responsabilità. Spero sia un viaggio solo rinviato».
Papa Francesco avrebbe dovuto celebrare la Messa nel campo di Kibumba, dove doveva incontrare anche alcune vittime di violenza. Il luogo si trova a poca distanza da dove, il 22 febbraio del 2021, è stato ucciso l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e al loro autista, Mustapha Milango.
Forza militare regionale?
Di fronte al peggiorare della situazione, i capi di Stato della Comunità dell’Africa dell’Est (Eac), tra cui Kenya, Tanzania, Sud Sudan, R.D. Congo, Uganda, Ruanda e Burundi, hanno deciso l’invio di una forza militare regionale, in appoggio all’esercito congolese. Tuttavia – fa notare la Rete Pace per il Congo – «molte associazioni e personalità della società civile vi si oppongono, perché almeno tre dei sette paesi membri dell’Eac (Ruanda, Uganda e Burundi) sono implicati da più di due decenni nell’invasione e nella destabilizzazione della R.D. Congo e altri due (Tanzania e Kenya) hanno già fornito alcune loro truppe alla Brigata di rapido intervento della Monusco (la missione dell’ONU in R.D. Congo)».
Anche il dottor Dénis Mukwege, medico di Bukavu e Pemio Nobel per la Pace 2018, si è detto contrario alla proposta: «La creazione di una forza militare regionale composta da truppe provenienti da Paesi che sono alla base della destabilizzazione del nostro Paese, dello sfruttamento illegale delle sue risorse naturali e minerali e sono responsabili di molti crimini di guerra e contro l’umanità commessi sul territorio congolese, non contribuirà né alla stabilizzazione del Paese, né al ritorno della pace e rischia di aggravare ancor più la situazione».