Dal Pio Istituto dei Sordi di Milano – in collaborazione con l’Ovci, l’Università Cattolica e l’Associazione Monsignor Marcoli – una libretto illustrato per insegnare le preghiere della tradizione cristiana ai bambini non udenti del Sud Sudan. Partendo da volti e gesti della tradizione africana
Favorire l’accesso alle preghiere della tradizione cristiana anche attraverso l’uso della lingua dei segni. E’ un aiuto importante alla trasmissione della fede al di là di ogni barriera quella che la Fondazione Pio Istituto dei Sordi di Milano sta portando avanti ormai da alcuni anni. E che – dopo la pubblicazione del volume illustrato in italiano Le mie preghiere in Lis, ora si arricchisce di un nuovo strumento pensato su misura per i bambini sordi di Juba, in Sud Sudan.
A lanciare l’idea sono state la dottoressa Rita Sidoli e suor Carla Magnaghi che operano all’interno dell’OVCI, l’ong legata all’associazione La Nostra Famiglia fondata dal beato don Luigi Monza, presente dal 1983 in Sud Sudan per svolgere attività sanitaria di base, educazione e riabilitazione di bambini affetti da patologie disabilitanti, tra cui la sordità. Il progetto si è concretizzato nel nuovo volumetto I pray, realizzato in inglese e nella lingua dei segni del Sud Sudan e pubblicato con il sostegno dell’Associazione Monsignor Giovanni Marcoli e dell’Università Cattolica, all’interno del progetto per l’Evangelizzazione e i sacramenti dell’arcidiocesi di Milano.
Non si è trattato semplicemente di trasposizione in una nuova lingua di un testo già stampato in italiano: la vera sfida raccolta dalle autrici – la psicoterapeuta infantile Marisa Bonomi e l’illustratrice Cristina Pietta – è stata infatti quella di adattare le illustrazioni, le parole, la scelta delle preghiere, al contesto culturale africano, per offrire ai bambini sudanesi una pubblicazione nella quale ci fosse la possibilità di riconoscersi e di ritrovare il proprio ambiente. Solo così infatti si può creare un legame significativo tra il lettore e il contenuto del testo.
Ecco allora che la giovane Maria e l’Angelo Custode hanno assunto le fattezze regali del popolo Masai, i bimbi aiutano gli adulti nella custodia delle immense mandrie dei pastori Dinka, come in tutti i villaggi faticosamente portano sulla testa l’acqua nelle taniche, mangiano in contenitori comuni, si divertono con giocattoli costruiti con materiali di scarto…
Nelle illustrazioni si sono evitate immagini agiografiche per lasciare il posto a segni che richiamano la realtà anche dura in cui i bambini sud sudanesi si trovano a vivere: la miseria, la guerra, l’incertezza del domani. Nonostante le potenziali ricchezze del sottosuolo, il Sud Sudan infatti è tra i Paesi più poveri al mondo, devastato da decenni di guerre che hanno provocato due milioni di morti e quattro milioni di sfollati nelle nazioni confinanti. In un contesto come questo la preghiera aiuta a sperare nonostante tutto; per questo le immagini mostrano sì i segni della guerra e della povertà, ma in un contesto che invita al superamento dei conflitti e alla rappacificazione.
Rispetto all’edizione in italiano sono stati tralasciati il “Gloria al Padre” e il ”Requiem” perché ritenuti nelle loro espressioni un po’ distanti dal modo in cui la tradizione africana guarda alla relazione di Dio con il creato e alla vita eterna. “Il problema più arduo che abbiamo dovuto affrontare, però, – raccontano le autrici – è stata soprattutto la scelta della lingua dei segni e verbale. Convinte dell’importanza della lingua materna come mezzo indispensabile per mostrare rispetto ed entrare in comunione con una popolazione diversa da noi, ci siamo trovate a dover scegliere fra oltre 60 lingue verbali indigene ed altrettante, forse più lingue dei segni”.
“Come soluzione non del tutto soddisfacente – continuano Marisa Bonomi e Cristina Pietta – siamo ricorse come base all’inglese in quanto lingua ufficiale della nazione, anche se parlata solo da una minoranza, cioè dalle persone scolarizzate in un contesto in cui l’analfabetismo riguarda circa il 70% della popolazione. Fra le molte lingue locali abbiamo scelto invece di affiancare il juba arabic, lingua creola costruita dalla popolazione mescolando l’inglese e l’arabo, nella zona di Juba, la prima regione in cui I Pray verrà distribuito. Approfondendo il problema ci siamo rese conto dell’impossibilità di riferirci a una alcuna lingua che avesse una discreta diffusione nella comunità dei non udenti. Dall’indipendenza – avvenuta nel 2011 – i sordi sud sudanesi stanno faticosamente cercando di costruire una lingua dei segni nazionale attingendo alle varie lingue dei segni locali; finora però – con l’aiuto dell’associazione austriaca Light for the World che si occupa di portare aiuto alle persone sorde e cieche nelle zone più povere del mondo – è stato pubblicato solo un dizionario con poco più di un centinaio di termini”.
Per tutti questi motivi per arrivare alla pubblicazione di I Pray sono stati fondamentali anche i contributi della linguista Lara Mantovan, e delle mediatrici culturali Carine Epèe, Shafali Mathur, Fatou Seck. “Ci auguriamo che questo nostro piccolo contributo sia una testimonianza di rispetto per la cultura africana – concludono le autrici – e regali un attimo di felicità e benessere ai bambini sordi nel cammino della loro educazione. Di una cosa però siamo certe: questo lavoro ha arricchito culturalmente e umanamente tutte noi”.