Proteste in Algeria a difesa della lingua berbera

Proteste in Algeria a difesa della lingua berbera

Studenti e giovani in piazza per sostenere il tamazight: salvaguardare l’idioma significa sostenere l’identità di un popolo

Che cosa hanno in comune Sant’Agostino, il commediografo Terenzio e lo scrittore Apuleio con i giovani scesi in piazza in varie città dell’Algeria nel corso del mese di dicembre? Apparentemente, nulla: secoli di distanza e contesti culturali differenti li separano. Eppure, l’identità è il loro terreno comune. I tre grandi dell’antichità provenivano dal nord Africa e, pur utilizzando la lingua latina per i loro testi, erano di origine berbera. Esattamente come gli studenti che a Tizi-Ouzou, Bejaja e Bouira hanno manifestato per difendere la lingua berbera, o tamazight, parlata da circa un quarto della popolazione algerina.

La scintilla della contestazione è stato un emendamento alla legge finanziaria per il 2018. Un partito d’opposizione aveva proposto la generalizzazione dell’insegnamento del tamazight in tutte le scuole pubbliche e private d’Algeria. Naturalmente occorrono risorse economiche per farlo, e la richiesta è stata respinta. Da qui, la protesta che attraverso la lingua ribadisce un’esigenza di tutela della diversità culturale e identitaria dei berberi. Il riconoscimento del tamazight come seconda lingua nazionale in Algeria risale solo al 2002. In precedenza, nel 1995, è stato istituito un Alto Commissariato per diffondere l’insegnamento del berbero, un ente che è stato oggetto di critiche da parte berbera per il suo operato, considerato non efficace. Dal 2016, con la nuova costituzione algerina, il tamazight è finalmente diventato lingua ufficiale, al pari dell’arabo. Promuovere una lingua significa diffonderne l’uso, nelle istituzioni e nelle scuole. E per farlo servono soldi, altrimenti i buoni propositi rischiano di restare lettera morta.

L’Algeria non è l’unico Paese del nord Africa ad avere una componente etnica di origine berbera. Secondo una stima riportata da Hsain Ilahiane, antropologo e autore del libro Historical Dictionary of the Berbers, in Marocco i berberofoni sarebbero circa il 45-50 per cento della popolazione. Anche il Paese di re Mohammed VI ha riconosciuto il tamazight come lingua ufficiale, nel 2011.

Sono berberi anche i Tuareg, gli uomini blu del deserto, circa 1,5-2 milioni di persone sparse fra Niger, Burkina Faso e Mali, e in parte anche in Algeria e Libia. Una minoranza berbera è presente anche in Tunisia e nelle Isole Canarie.

In quella che i berberi chiamano tamazgha, la loro terra ancestrale che si estende dall’Egitto all’Atlantico e a sud fino ai confini con l’Africa nera, i berberofoni sarebbero tra i 15 e i 50 milioni. Una stima difficile da fare, perché i riconoscimenti della lingua e quindi anche dell’identità culturale di questa gente sono recenti. Inoltre, in alcune zone i berberi sono stati arabizzati. «Fin dall’indipendenza», dice Ilahiane nel suo libro, «i governi hanno marginalizzato le regioni berbere, soffocando e banalizzando la lingua e la cultura berbera, e a volte spostando intere popolazioni, come è accaduto con i Tuareg». Non sono mancate le rivolte: una delle più note è quella di Tizi- Ouzou, in Algeria, nel 1980, in cui i berberi chiedevano il riconoscimento dei loro diritti. La strategia dei governi nati dopo la decolonizzazione è stata quella di cementare l’identità nazionale intorno alla lingua araba e all’Islam. Il sito amazighworld.org parla addirittura di “amazighofobia” per definire il tentativo di distruggere l’identità berbera. Fieri portatori della loro diversità, gli “uomini liberi”, o imazighen (al singolare, amazigh – così si definiscono nella loro lingua) non si sono lasciati assimilare.

D’altronde, la stessa parola che li definisce, berberi, testimonia dell’antichità di questa popolazione, che abitava le terre del nord Africa prima dell’arrivo degli arabi e della religione islamica. Berberi proviene dal greco “barbaroi”, che designava chi non era di cultura greca e latina. Prima degli arabi, nella loro terra sono passati i greci, i fenici, poi i romani. Sulle loro origini, circolano ipotesi a volte fantasiose. La presenza di alcune persone con capelli rossi o biondi fra i berberi ha scatenato varie congetture fra gli studiosi. C’è chi ha visto legami con i mercenari galli dei romani, chi con i vandali di Genserico. Il politico nazista e antisemita Alfred Rosenberg ipotizzava un’origine ariana.

Da parte loro i berberi, nella bandiera – adottata ufficialmente nel 1998 – hanno voluto sintetizzare gli elementi identitari che li contraddistinguono. Dall’alto, una striscia azzurra orizzontale simboleggia il mare, dal Mediterraneo all’Atlantico, che lambisce il loro territorio storico; sotto, una striscia verde rappresenta le montagne e sotto, una striscia gialla è il deserto, quel Sahara in cui molti di loro si sono adattati a vivere. Insieme riassumono la loro terra. Al centro, una lettera dell’alfabeto berbero ricorda quasi una figura umana: è l’amazigh, l’uomo libero. Il simbolo è rosso, un colore che indica la resistenza. Una qualità che non manca a questo popolo che, nel legame con la lingua tamazight, cerca di difendere le sue radici.