Con il rapimento di due preti nei pressi di Beni, in Nord Kivu, si allunga la lista di religiosi e religiose sequestrati o uccisi in Repubblica Democratica del Congo, dove sono state prese di mira anche molte strutture della Chiesa. La «condanna senza riserve» della Conferenza episcopale
«La Conferenza episcopale congolese condanna senza riserve questo ennesimo rapimento che aggrava il dolore della Chiesa-Famiglia di Dio della Repubblica Democratica del Congo che, da qualche anno, piange i suoi figli e le sue figlie, vittime di atrocità e atti di barbarie». Con queste parole l’arcivescovo di Kisangani, Marcel Utembi Tapa, presidente della Conferenza episcopale congolese, si è unito, ieri 17 luglio, al grido di dolore e denuncia della Chiesa di Butembo per il rapimento di altri due preti, Charles Kipasa e Jean-Pierre Akilimali, sequestrati nella notte tra il 16 e il 17 luglio nella parrocchia di Notre Dame des Anges a Bunyuka, nel Sud Kivu.
Non è la prima volta che succede. Come ricorda lo stresso arcivescovo, sempre nel territorio di Beni erano stati rapiti, nell’ottobre 2012, tre preti assunzionisti, Jean-Pierre Ndulani, Edmond Kisughu e Anselme Wasukundi, di cui non si hanno avuto più notizie. Mentre il 20 marzo 2016, un altro assunzionista, il padre Vincent Machozi, fondatore di un sito che denunciava le violenze in Nord Kivu, era stato ucciso, poco dopo aver postato un articolo sull’implicazione del presidente congolese e di quello ruandese nei massacri. Otto mesi più tardi, il 29 novembre 2016, una religiosa originaria della diocesi di Butembo-Beni, suor Clara Kahambu, delle Suore scolastiche francescane di Cristo Re, era stata uccisa a Bukavu, nel Sud Kivu.
Negli scorsi mesi, anche nella regione del Grande Kasai sono stati rapiti e liberati diversi preti e distrutte molte proprietà della chiesa locale.
Molti, all’interno del mondo cattolico congolese, sono sempre più convinti che si tratta di attacchi mirati per mettere in difficoltà l’unica vera istituzione nazionale, che è appunto la Chiesa, impegnata in molti campi, non solo a sostegno della popolazione – che vive spesso in situazioni di grave crisi e sofferenza – ma anche per promuovere pace, giustizia e democrazia. Un impegno, quest’ultimo, che ha favorito il raggiungimento del cosiddetto accordo di San Silvestro che dovrebbe portare alle elezioni regionali, parlamentari e presidenziali entro la fine di quest’anno. Sono in molti, tuttavia, a non volere queste elezioni, a cominciare dal presidente Joseph Kabila, che non potrebbe ricandidarsi.
«I preti sono uomini di Dio – insiste l’arcivescovo di Kisangani – che hanno consacrato la loro vita per il bene della popolazione, senza un’agenda politica. Far loro del male significa danneggiare l’intera comunità che servono».
Ma al di là della condanna del rapimento (pare ad opera di persone non identificate che portavano divise militari) è il complessivo «clima di insicurezza» che viene stigmatizzato da mons. Tapa, che chiede alle autorità congolesi e alle forze dell’ordine e militari di «mettere in campo tutti gli sforzi possibili per liberare i due preti e per smantellare questa rete criminale che destabilizza la pace nella regione di Beni». Regione che da molti anni vive una situazione di conflitto e insicurezza che non risparmia nessuno e che con drammatica regolarità si riaccende in episodi di grave violenza. Come lo scorso fine giugno, quando nella stessa città di Beni ci sono stati scontri che hanno provocato diversi morti abbandonati nelle strade.
Intanto, si aggrava anche il bilancio della carneficina nella regione del Grande Kasai. Gli ultimi dati parlano di ben ottanta fosse comuni. E probabilmente non è ancora finita qui…