Nel novembre del 1975, in seguito alla cosiddetta “Marcia verde”, il Marocco “invade” i territori del Sahara Occidentale, costringendo alla fuga migliaia di saharawi, che continuano a vivere – quarant’anni dopo – nei campi profughi nel deserto algerino. Dimenticati da tutti
Un popolo senza terra, uno Stato senza nazione. E un muro, lungo 2.700 chilometri di pietre e sabbia, che divide un territorio (il Sahara Occidentale) dal suo popolo (i saharawi). È come una ferita questo muro di muri: quattro, cinque, sei cumuli che corrono paralleli nel deserto del Sahara, disseminati di oltre cinque milioni di mine e sorvegliati da 160 mila militari marocchini. L’hanno costruito negli anni Ottanta, per impedire gli attacchi dei miliziani saharawi e il ritorno dei profughi nella terra d’origine.
Oggi il popolo saharawi vive in gran parte in esilio, così come il suo governo: duecentomila persone ammassate nei campi profughi nei pressi di Tindouf, in Algeria. Senza acqua, cibo, strutture educative e sanitarie adeguate… Dipendenza totale dagli aiuti umanitari. E un futuro molto incerto.
A fine ottobre, persino il governo “amico” dell’Algeria ha schierato carri armati e veicoli blindati nei pressi di Tindouf, per impedire ai profughi di lasciare i campi, in seguito a pesanti inondazioni.
Il dramma del popolo saharawi affonda le sue radici in epoca coloniale, quando la Spagna si ritagliò un suo piccolo dominio nel Sahara Occidentale, tra Marocco e Mauritania, in una regione controllata quasi esclusivamente dalla Francia.
Con molto ritardo rispetto all’epoca delle indipendenza (1960), il 26 febbraio 1976, la Spagna si ritira definitivamente dal Sahara Occidentale. Il giorno successivo, il 27 febbraio, viene proclamata dal Fronte Polisario la Repubblica Araba Saharawi Democratica (Rasd).
Tuttavia, già l’anno precedente, il 6 novembre 1975, in seguito alla cosiddetta “Marcia verde”, il governo di Rabat promuove un’“invasione” pacifica del Sahara Occidentale, inviando 350 mila uomini. Nel 1976 Marocco e Mauritana occupano militarmente la regione, provocando l’esodo drammatico di migliaia di profughi verso il deserto algerino.
Dopo alcuni anni di guerriglia, e svariati attentati che interessano anche la capitale Nouakchott, il 5 agosto 1979 la Mauritania firma la pace con il Fronte di Liberazione di Saghia-el-Hamra e Rio de Oro, detto Fronte Polisario, nato nel 1973 per combattere per l’indipendenza dei saharawi e il riconoscimento della sovranità sulla loro terra.
Il Marocco, tuttavia, ha continuato a rivendicare l’appartenenza del Sahara Occidentale rifacendosi a vicende storiche molto antiche. La dinastia degli Almoravidi, infatti, che regnò sul Marocco e sulla Spagna nel 1100, aveva portato avanti il sogno di realizzare il “Grande Maghreb”, comprendente non solo il Sahara Occidentale, ma anche alcuni territori dell’Algeria. Sin da allora i regnanti marocchini hanno continuato a considerare il Sahara Occidentale geograficamente come il sud naturale del Paese e storicamente come un territorio del “Grande Maghreb”. A ciò vanno aggiunti gli interessi economici, legati alla presenza di importanti risorse minerarie, in particolare fosfati, e a un tratto di costa tra le più pescose dell’Africa.
Le vicende coloniali e di decolonizzazione, legate alla Spagna, nonché le rivendicazioni marocchine non hanno certo favorito una soluzione pacifica della questione del Sahara Occidentale. Anzi, hanno complicato alquanto la situazione, degenerata in un conflitto armato e nella costruzione del muro.
Nel 1991, dopo quindici anni di combattimenti, si è arrivati alla firma del cessate-il-fuoco tra Marocco e Polisario. Il piano di pace prevede un una consultazione popolare per l’autodeterminazione, compito affidato a una specifica Missione delle Nazioni Unite per il referendum del Sahara Occidentale (Minurso), ma finora lontano dal realizzarsi.
Il Fronte Polisario – anche se ha abbandonato la lotta armata – continua a mantenere e addestrare un proprio esercito. Ma ora la battaglia si è spostata sul piano politico e diplomatico. Con scarsissimi risultati. Oggi, nonostante i colloqui in corso, il processo di mediazione e di pace ristagna. I nodi principali sono il consolidamento del muro da parte del Marocco, il referendum, la violazione dei diritti umani dei saharawi nelle zone “occupate”… Ma in gioco, ci sono anche questioni economiche. Anche da questo punto di vista le rivendicazioni dei saharawi sono spesso disattese platealmente. Un esempio sono gli accordi di pesca che l’Unione Europea ha rinnovato con il Marocco per quanto riguarda le coste del Sahara Occidentale – un tratto di mare tra i più pescosi dell’Africa – sancendo di fatto l’appartenenza di questa ragione al regno marocchino. E poi ci sono i fosfati: il Sahara Occidentale è una delle regioni più ricche di fosfati al mondo e, grazie alle miniere di Bou Craa, il Marocco è il terzo produttore mondiale.
Ma forse, anche a livello internazionale, non c’è una reale volontà di sbloccare una situazione complessa e controversa, che chiama in causa retaggi storici e interessi economici, mire egemoniche e orgoglio identitario. Da una parte come dall’altra. E in mezzo, ci sono centinaia di migliaia di profughi che ne pagano le conseguenze più drammatiche.
Nel febbraio 2016, la Rasd celebrerà i 40 anni della propria fondazione. Uno Stato che non c’è con un governo in esilio. Ma che fa parte dell’Unione Africana ed è riconosciuto da 82 Paesi.
«Viviamo in una condizione di grave privazione – sostiene il Presidente della Rasd Mohamed Abdelaziz -, innanzitutto della nostra libertà. Il nostro popolo subisce una situazione di sofferenza e oppressione, sia che si trovi nei campi profughi, sia che risieda nella zona occupata dal Marocco, sia che si viva all’estero. Che cosa chiediamo? Libertà! Libertà di vivere nella nostra terra e di scegliere il nostro destino. Confidiamo nel sostegno della comunità internazionale, perché quella dei saharawi è una causa giusta di libertà e legalità».
La sensazione, però, è che oggi i saharawi siano dimenticati da (quasi) tutti in mezzo al nulla di un deserto aspro e spazzato dal vento. Una vita aspettando di tornare a casa. Troppi anni di solitudine.
La vicenda dei Saharawi viene racconta anche nel documentario “Il muro della vergogna” realizzato per l’associazione Trecasma da Parallelozero e nel libro Lost Saharawi scaricabili gratuitamente.
Foto: Bruno Zanzottera/Parallelozero (Lost Saharawi)