Dopo l’annuncio a sorpresa del presidente Macky Sall di sabato 3 febbraio, ieri il Parlamento ha votato il rinvio delle elezioni presidenziali al 15 dicembre, tra le proteste delle opposizioni e di molti cittadini
Lo scorso 3 febbraio, a pochi giorni delle elezioni previste per il 25, il presidente senegalese Macky Sall ha annunciato a sorpresa il loro rinvio a data da destinarsi. Granate, gas lacrimogeni e arresti: la polizia ha scelto la linea dura contro i manifestanti scesi in piazza per protestare contro questa decisione. Inizialmente molti cittadini di Dakar avevano manifestato pacificamente, indossando la maglietta della nazionale di calcio e sventolando le bandiere senegalesi. Ma tutto è precipitato dopo le violente cariche della polizia.
È la prima volta dal 1963 che non vengono rispettate le scadenze elettorali in Senegal, un Paese che ha una delle più solide tradizioni di democrazia e stabilità nell’Africa occidentale. Ieri il Parlamento ha deciso il rinvio al 15 dicembre in una seduta carica di tensione.
Il braccio di ferro ha portato anche all’arresto di Aminata Touré, prima ministra tra il 2013 e il 2014, e Anta Babacar Ngom, candidata alle presidenziali, e all’oscuramento del segnale del canale televisivo Walf, un canale privato che stava trasmettendo le immagini della manifestazione, con l’accusa di «incitamento alla violenza». Le proteste si sono diffuse in altre città del Paese, mentre anche all’interno del Parlamento ci sono stati violenti scontri verbali con l’intervento dell’esercito che ha portato via con la forza alcuni deputati dell’opposizione, che accusavano Sall di essere un «dittatore».
In carica dal 2012 e rieletto nel 2019, il presidente – non ricandidabile – è stato accusato di essere coinvolto anche nell’arresto e nella condanna a due anni di carcere del suo principale sfidante, Ousmane Sonko, leader del partito di opposizione Pastef per impedirgli di candidarsi, vista la sua grande influenza soprattutto tra i giovani che rappresentano la grande maggioranza dell’elettorato. Già nel 2023, le manifestazioni in favore di Sonko vennero represse con la violenza, provocando morti e feriti.
Yassine Fall, vicepresidente di Pastef, ha dichiarato ad Al Jazeera di ritenere la decisione di Sall «un colpo di stato costituzionale». Il mese scorso il Consiglio costituzionale aveva provocato un grosso malcontento, escludendo dalla lista dei candidati alcuni importanti membri dell’opposizione. Tra questi anche il candidato del Partito democratico senegalese (PDS) Karim Wade – figlio di Abdoulaye Wade, presidente tra il 2000 e il 2012 – al quale non era stato permesso di candidarsi perché ha la doppia cittadinanza franco-senegalese. Intanto, il partito di Sonko pubblicava un duro comunicato in cui stigmatizzava il fatto che la stabilità del Senegal, uno dei pochi Paesi dell’Africa occidentale a non aver mai subito un colpo di Stato, «è ormai compromessa, perché il popolo non accetterà mai questo abuso di autorità».
L’Unione Europea, dal canto suo, ha invece sottolineato come il ritardo nel voto apra la strada ad un «periodo di incertezza», mentre la Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas) ha espresso la propria «preoccupazione».
Anche la diaspora senegalese in Italia è particolarmente allarmata. Lo testimonia, tra gli altri, Sebastian Dieng, trentenne di Kaolack, arrivato nel nostro Paese nel 2007. «Ho paura di non poter più vedere la mia famiglia», ammette preoccupato. Attualmente Sebastian vive in Sardegna e stava per tornare in Senegal per votare, ma dopo aver saputo di altre persone che sono state arrestate all’arrivo in aeroporto ha deciso di non partire. Lui, come molti altri oppositori politici, ha una colpa che si sente cucita addosso: quella di non accettare la svolta autoritaria di Macky Sall e di renderla visibile sui canali social. Dieng però non si dà per vinto e aspetta con pazienza il giorno in cui potrà rientrare nel suo Paese per contribuire al suo cambiamento e al suo sviluppo. Anche attraverso il voto.