In una realtà culturale e sociale così diversa come quella dei villaggi della Guinea-Bissau, suor Ornella Garzetti è entrata per anni in punta di piedi, con rispetto, ma anche con la gioia di annunciare il Vangelo
Si è inserita sulle orme di chi l’ha preceduta per poi affrontare la missione da pioniera. Suor Ornella Garzetti, missionaria dell’Immacolata, 50 anni il prossimo novembre, si è sempre dedicata alla primissima evangelizzazione. Nei nove anni passati in Guinea-Bissau è stata quella che si avvicinava a nuovi villaggi – le tabanche come li chiamano lì -, si sedeva sulla stuoia, giocava con i bambini, parlava con le donne, offriva piccoli servizi e ascoltava le storie di tutti. In punta di piedi, ma non troppo. Attenta a rispettare la cultura e le tradizioni, ma anche consapevole che quel suo essere lì, nei villaggi più sperduti dei dintorni di Bissorã, rappresentava una testimonianza forte e inequivocabile di una scelta che aveva fatto – quella di aprirsi alla volontà di Dio – e di un desiderio di condividerla. Non tanto con le parole, ma con i fatti. Non con la predicazione, ma con la presenza.
«Che è poi quello che la gente mi ha restituito – conferma suor Ornella -: non discorsi teorici, ma vicinanza e soprattutto gioia. Gioia di aver trovato uno sguardo nuovo su un Dio che si è fatto uomo per essere vicino a tutti noi. E gioia di aver conosciuto una fede che libera dalla paura».
Suor Ornella ricorda in particolare una donna, Insifim. «Era la seconda moglie di un uomo che è morto e per tradizione sarebbe dovuta andare in sposa al fratello del marito. Lei non voleva e così l’abbiamo aiutata ad avere una casa tutta sua e a essere indipendente. Da quando è stata battezzata, ha sempre manifestato una grande riconoscenza nei confronti di noi suore.
Ogni volta che tornava dal campo non trascurava mai di portarci qualcosa. E lo faceva danzando e cantando. “Io adesso sono libera!”, diceva».
«Anche per noi – riflette suor Ornella – la gioia è questa: stare con la gente e comunicare il Vangelo. E rendere così le persone libere». Libere innanzitutto dalle catene della paura: paura degli spiriti, delle maledizioni, dell’occulto…. Sono molti gli aspetti ricchi e positivi della religiosità tradizionale dei popoli della Guinea-Bissau con cui suor Ornella ha vissuto. Ma ci sono anche lati oscuri. «La tensione verso un Dio creatore è molto presente nella loro religiosità. Ma lo sentono lontano e inaccessibile, dunque fanno riferimento a tutta una serie di “intermediari” che possono essere gli antenati, ma anche gli spiriti. Alcuni dei quali sono cattivi».
Liberarsi dalla paura di questi spiriti significa anche trovare la forza per affrontare in modo diverso alcune situazioni. «Secondo la tradizione – spiega suor Ornella – quando una donna partorisce dei gemelli, uno dei due viene sacrificato. Una pratica che si basa sia su credenze ancestrali sia sulla reale difficoltà della madre a far sopravvivere entrambi. Noi aiutiamo queste donne a prendersi cura dei gemelli attraverso un centro nutrizionale che si occupa anche di malnutriti e orfani. E facciamo molta alfabetizzazione e promozione umana. Alcune donne sono arrivate da noi analfabete e oggi sono delle ottime insegnanti! E così, un po’ alla volta, con i tempi lunghi che servono in questi contesti, si fanno piccoli passi avanti. Per questo è importante una presenza costante e fedele. Anche le relazioni hanno bisogno di tempo per maturare…».
Adesso che suor Ornella è tornata in Italia per stare accanto alla mamma malata – e con tutte le limitazioni agli spostamenti che il Coronavirus impone – ogni tanto pensa con nostalgia alle sue giornate sempre… in moto! Nel vero senso della parola. Perché gran parte della sua missione è stata itinerante, in viaggio da un villaggio all’altro in sella al suo motorino di fabbricazione senegalese, che le permetteva però di arrivare ovunque, anche là dove le piste piene di buche diventavano proibitive persino per le auto. «Amo molto lavorare nella pastorale e incontrare la gente – conferma suor Ornella -. Ogni settimana dedicavo quattro giorni a visitare le tabanche, per un’azione di primo annuncio sia attraverso la preghiera sia attraverso attività di promozione umana specialmente per le donne o di avvicinamento alla scuola per i bambini. Negli ultimi due anni, in particolare, ho vissuto un’esperienza molto forte in un villaggio lontanissimo dalla missione, dove sono arrivata su invito dei giovani. Si sentivano abbandonati da tutti. E di fatto lo erano. Il nostro essere lì, ovviamente, non rispondeva solo al desiderio di conoscere il Vangelo, ma di sviluppo del villaggio. Questo è assolutamente comprensibile per chi vive in condizioni davvero molto difficili e precarie e sente lo Stato lontanissimo se non addirittura inesistente. Del resto, anche per noi, l’annuncio non è mai disgiunto da un’attenzione alla persona in tutti i suoi aspetti».
Riflette un attimo e si rivede su quelle piste, in mezzo alla foresta o su una barca per attraversare uno dei tanti corsi d’acqua che percorrono la Guinea-Bissau. Soprattutto si sente vicina alla gente semplice e buona di quella terra. «Nei villaggi – riflette – si comincia dall’amicizia. Poi, per il fatto di andarci settimanalmente, si diventa in qualche modo dei punti di riferimento: per la scuola, la sanità o per altri servizi. Non sempre siamo in grado di dare tutte le risposte. Ma possiamo accompagnare un cambiamento lento. Certo, sarebbe bello poter vivere anche la dimensione più quotidiana dell’annuncio. Su questo ci stiamo confrontando anche per cercare nuove vie di incontro».
Questa possibilità suor Ornella l’ha sperimentata innanzitutto con le donne, con cui ha avviato un cammino bello e interessante un po’ ovunque. Ma anche con i bambini, che sono sempre stati la sua passione. Prima di entrare nelle Missionarie dell’Immacolata, infatti, suor Ornella – che è originaria della campagna attorno ad Abbiategrasso, nella Bassa milanese – lavorava come educatrice in una comunità per minori abbandonati.
E questo suo amore per i più piccoli, insieme all’impegno educativo, li ha portati con sé anche in missione, rigenerati dal desiderio e dalla gioia di testimoniare il Vangelo che aveva sperimentato per la prima volta in Bangladesh. Nel Paese asiatico era approdata nel 1995 grazie al cammino di Giovani e Missione del Pime e aveva conosciuto le missionarie dell’Immacolata. Un’esperienza che le ha aperto gli occhi e il cuore. E le ha cambiato la vita. «Cercavo di capire che cosa il Signore volesse da me – ricorda oggi -. E l’incontro con le missionarie dell’Immacolata in Bangladesh è stato… la goccia che ha fatto traboccare il vaso!».
Ancora oggi non ha perso quell’entusiasmo. Così come non ha perso l’attenzione per i più piccoli. «Del resto, sono loro quelli con cui è più facile interagire e giocare. Incontrandoli, ne approfittiamo per verificare che non abbiano problemi di salute o gravi carenze alimentari ed eventualmente li orientiamo verso il nostro centro nutrizionale. Attraverso di loro diventa più semplice arrivare anche alle mamme, alle famiglie e all’intero villaggio».
Da questi primi passi è possibile costruire, un po’ alla volta, anche una leadership laica, indispensabile per affiancare l’opera dei missionari e della Chiesa locale. «Dobbiamo ancora lavorare molto in questo ambito, soprattutto per formare i catechisti. Ma ci sono già alcune figure luminose che ci incoraggiano ad andare avanti su questa strada».
Una di queste è Albertina, vedova e madre di sei figli, che suor Ornella ha conosciuto non appena è arrivata a Bissorã: a quel tempo – era il 2007 – balbettava appena il criolo, la lingua veicolare della Guinea-Bissau, e cercava di orientarsi in quel mondo tutto nuovo, provando a inserirsi in una realtà culturale e sociale così diversa da quella da cui proveniva. Ma scopriva anche che, sul posto, c’era già chi era disponibile ad accompagnarla e a starle accanto: le sue consorelle, innanzitutto, ma non solo. Anche persone come Albertina. «Era impegnata nella catechesi e nel primo annuncio, generosa e sempre disponibile, mi ha aiutata molto, con pazienza e rispetto, sempre pronta a spiegarmi il significato di riti e gesti totalmente nuovi per me. Vedevo in lei una sincera apertura all’altro, una passione missionaria concreta: dove arrivava era capace di creare collaborazione, instaurando rapporti di fiducia e dando gioia e buonumore. Albertina, per natura, era una vera leader!».
È grazie a persone come lei che suor Ornella si è trovata sempre più a suo agio anche nei villaggi più piccoli e sperduti. «Un giorno – racconta – con le mie consorelle avevamo appena finito di pesare i bambini e di occuparci delle mamme e mi sono ritrovata con le mani sporchissime. Mi guardavo attorno per trovare dell’acqua. Una persona si è fatta avanti porgendomi un contenitore e facendomi il gesto di inchinarmi per lavare le mani. Mi ha colpito molto quel segno di attenzione semplice. Noi siamo abituati ad aprire il rubinetto in qualsiasi momento e senza bisogno di nessuno. Lì invece avevamo bisogno dell’altro che ci porgeva la bacinella e ci versava l’acqua sulle mani. E prima ancora di qualcuno che era andato al pozzo ad attingerla. Mi ha fatto pensare che abbiamo sempre bisogno gli uni degli altri. E tutti, anche quelli che apparentemente non hanno niente, possono offrirci qualcosa».